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Stefano Semeraro per "La Stampa"
à come quando da piccoli finiva l'estate, e bisognava tornare a scuola. O come quando all'improvviso, senza spiegazioni, capivamo che Babbo Natale non sarebbe tornato. Mai più. Roger Federer, il Santa Klaus svizzero che per dieci anni ha distribuito gioia e incanto al tennis è fuori dagli Us Open.
Ha perso in tre set negli ottavi da Tommy Robredo (7-6 6-3 6-4), ha perso male. Sprecando palle break (0 su 6), sudando come ai bei tempi non gli sarebbe capitato neanche nel Sahara. Sempre lontano dall'avversario, soprattutto sempre più lontano da se stesso. Dando l'impressione di non crederci più troppo («ma è da una vita che me lo dicono, poi vinco e ci ripensano»), di coltivarsi dentro una serra di dubbi. Può un campione immenso rassegnarsi al grigiore di sconfitte del genere? Certo, le attenuanti: i 32 anni, il mal di schiena che lo tormenta, il sospetto che l'addio non sia più così lontano. Ma che malinconia, Roger, vederti così.
«So di poter giocare meglio», ha detto alla fine, titillando il cuore di chi sogna un ultimo, grande lampo prima del sipario. «à stato il peggior Federer degli ultimi 10 anni», scrive John Wertheim su Sports Illustrated. «Uno come lui meriterebbe un finale diverso». Il momento dell'addio è il più difficile da scegliere per chi è stato grande, da Borg a Schumacher, da Jordan a Maradona, la casistica è varia. Valentino Rossi sta lottando contro i due stessi impostori di Federer: l'orgoglio di voler risorgere, l'amarezza di scoprirsi inadeguato.
I numeri sono crudeli. Era dal 2002 che Roger non usciva in tre set a New York, in un torneo che ha vinto cinque volte (e di fila), e non raggiungeva nemmeno una finale nei tornei dello Slam (ne ha vinti 17). L'anno scorso si era preso Wimbledon e l'argento alle Olimpiadi, ma ormai sono mesi che lotta contro una condizione incerta.
Che beneficia avversari che in passato avrebbe scherzato: Benneteau (n.39 Atp), Nishikori (16), Stakhovsky (116) nel secondo turno di Wimbledon, poi Delbonis (114), Brands (55). E ora Robredo: un ex top-ten farcito di una grinta antica, per carità , ma quasi suo coetaneo (31 anni), e reduce da un infortunio che l'anno scorso l'aveva spinto fino al n.480 del ranking. Roger lo aveva battuto 10 volte in 10 incontri: ieri si è fatto dominare. Nell'annata di Federer ci sono anche tre sconfitte contro Nadal, a Flushing Meadows tutti speravano nell'ultimo grande valzer fra i due vecchi rivali. Ma se è vero che le sconfitte di Federer con Rafa non fanno più notizia, quella con Robredo è solo mestizia. Una candela che si spegne, una porta che sbatte al vento.
Anche in sala stampa, quando Roger è entrato a capo chino, nascosto sotto il cappello, si respirava un silenzio da stabilimento balneare fuori stagione, la sabbia bagnata, gli ombrelloni chiusi. «Tommy mi ha reso le cose difficili - ha ammesso Federer -, ma io non trovavo il ritmo, mi sono autodistrutto. à frustrante». Oggi come in tutta la lunga estate del suo sconforto: «sono tre mesi che le cose non vanno bene. Non ho continuità , e la fiducia ne risente. Il Masters? Non penso così lontano. Devo preoccuparmi di tornare a muovermi meglio, prima ancora che di giocare meglio». La sala interviste si è vuotata lentamente, in sottofondo le interviste di rito alle tv, come una risacca. Sempre più lontana.
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