DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Mensurati per “la Repubblica”
La scollatura ormai drammatica tra la gente che lavora in Ferrari, terrorizzata dalla gragnuola di teste che continua a ruzzolare senza sosta e senza logica lungo la Via Emilia, e il suo vertice, che ambisce a riprendersi rapidamente il ruolo di azienda leader del motorsport, si manifesta plasticamente ieri pomeriggio, intorno alle quattro, quando dalle mura della fabbrica salta fuori una lettera inviata dal presidente Sergio Marchionne «ai cari colleghi» della Gestione Sportiva (Ges). Cinque pagine, testo in nero su sfondo giallo, come il logo del Cavallino, che lette così fanno un po’ l’effetto di uno che ti urla nell’orecchio «STAI CALMO!».
Dentro la fabbrica, dal punto di vista emotivo, la situazione è fuori controllo, e Marchionne deve essersene accorto. I segnali che escono dalla Ges del resto sono quelli di un gruppo di lavoro estenuato dalle sconfitte e destabilizzato dai continui cambiamenti di uomini e di strategie. L’ultimo, il più brusco, quello che ha stravolto in 48 ore la vita di Marco Mattiacci, fino a otto mesi fa manager prodigio del gruppo, chiamato a salvare il pezzo più pregiato, e da ieri, senza una sola spiegazione, ex dipendente Ferrari. Inadeguato.
Ora, è certamente legittimo che la fiducia nei suoi confronti sia rapidamente venuta a mancare. I risultati della galleria del vento sui modelli della prossima macchina sarebbero deludenti (poche settimane fa però, la stessa notizia veniva smentita e derubricata a baggianata) e l’interlocuzione con i soggetti forti della F1, Ecclestone e Todt, sarebbe infelice.
Si racconta anche che la pietra tombale su Mattiacci l’abbia posta Ecclestone durante una recente riunione infuocata. L’ormai ex team principal si sarebbe alzato e avrebbe detto: «Io sono un businessman e nel mio mondo queste cose non si fanno», e Bernie lo avrebbe seppellito sotto un «adesso non esagerare, vendevi auto, come me, più o meno». Poi si sarebbe premurato di far arrivare la cosa a Marchionne.
Ieri sull’asse Maranello-Abu Dhabi-Torino era tutto un inseguirsi di chiamate e messaggi carichi di panico, tra chi ha paura di essere il prossimo a saltare (il progettista Nick Tombazis, cinque macchine sbagliate negli ultimi cinque anni) e chi non sa come comportarsi.
Ed è forse questa, restituire una rotta a una nave col timone in avaria, la prima vera missione che spetta al nuovo comandante, Maurizio Arrivabene, già vice presidente della Philip Morris, «uomo che» Marchionne dixit, «conosce benissimo la Ferrari e i meccanismi di governance della Formula 1». Oggi pomeriggio Arrivabene siederà a fianco del presidente al tavolo della F1 Commission, quello in cui si decide il futuro dello sport.
Dopo l’ufficializzazione di ieri, andrà già con la tuta rossa. La strategia è chiara: ricordare a tutti quale sia il peso specifico della Ferrari usando ogni strumento, anche il famoso diritto di veto, per riportare la F1 a una dimensione più consona alle esigenze di Maranello. Il 2015, pensano in Ferrari, ormai è andato, la Mercedes non la ripigliamo davvero. Ma se vogliamo dire la nostra tra due anni, il momento di agire è questo.
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