
DAGOREPORT - COME È RIUSCITO IL FUNERALE DI UN SOVRANO CATTOLICO A CATTURARE DEVOTI E ATEI, LAICI E…
1. SONO I MIGLIORI O CI SOTTOVALUTIAMO?
Edoardo Sassi per “Corriere della Sera”
Favorevoli e contrari, come è ovvio che sia. E già ieri, giorno di nomine, si è acceso il dibattito su criteri e scelte dei nuovi venti super direttori dei musei italiani di prima fascia, individuati dopo lungo iter da una commissione presieduta da Paolo Baratta e tramite bando aperto, per la prima volta, anche agli stranieri, un effetto della cosiddetta «riforma Franceschini» del ministero per i Beni culturali.
L' escluso numero uno, innanzitutto, l' ormai ex direttore degli Uffizi di Firenze, Antonio Natali, che pure vantava stima a livello internazionale. Aveva fatto domanda solo per la direzione del «suo» museo, era tra i dieci ammessi agli orali, ma è stato scelto il tedesco Eike Schmidt. «Un Paese che dice di voler cambiare - ha detto Natali - non poteva permettersi di dire che restava il vecchio direttore. L' amarezza l' ho avuta quando ho capito quale era il copione. Ora? Non escludo di mettermi sul mercato».
Altro escluso, altra voce critica: Angelo Tartuferi, anche lui da oggi ex direttore. A succedergli alla guida della Galleria dell' Accademia di Firenze una donna di nazionalità tedesca, Cecilie Hollberg. Tartuferi polemizza soprattutto per quel riferimento del ministro Franceschini, che ieri ha parlato di «recupero di un ritardo di decenni» per il sistema museale italiano: «Non so a cosa si riferisca, questo è un mestiere che abbiamo inventato noi. Abbiamo inventato in Italia la tutela dei Beni culturali e schiere di tedeschi sono venuti a studiarla qui».
Eccesso di provincialismo? È una delle critiche che muove lo storico dell' arte Tomaso Montanari, il quale parla di «schiaffo» all' amministrazione dei Beni culturali: «Mi pare ci sia un' enorme sproporzione tra la qualità media delle soluzioni scelte e i trionfalistici annunci di rivoluzione del ministro. La verità è che nessuno dei grandi nomi internazionali ha fatto domanda. Quel che comunque salta all' occhio è l' estromissione di tutti gli interni del ministero, con una sola eccezione.
Dunque l' amministrazione dei Beni culturali non ha più nessuno in grado di dirigere un suo museo? Per favore... Piuttosto, bisognava prima rendere i musei funzionanti e poi, semmai, cercare i direttori. Si è invece partiti dai generali senza pensare agli eserciti, personale e risorse». Sulla stessa linea il giudizio di Philippe Daverio: «Una cialtronata. Nomi non all' altezza. Queste decisioni indicano uno Stato che ha gettato la spugna. Davvero il ministero non sarebbe più in grado di esprimere professionalità di grande livello? Quel ministero per il quale hanno lavorato Spinosa, Emiliani, Paolucci, Bertelli e non so quanti altri?
E non voglio nemmeno pensare a questi stranieri, che oltretutto non mi paiono dei fenomeni, alle prese con le nostre normative, i sindacati, le gare d' appalto. Fare mostre e gestire macchine anche amministrativamente complesse come i musei non è la stessa cosa. Ripeto, scelte demenziali».
Plaude invece alle novità Achille Bonito Oliva: «Per una volta si può dire che anche in Italia vince la meritocrazia. Tutte le designazioni sono di altissimo profilo. E non si può non lodare il gran lavoro fatto dalla commissione presieduta da Paolo Baratta».
A difendere il criterio generale adottato per le nomine anche l' archeologo e presidente del Fai Andrea Carandini: «Pur non condividendone tutti i punti, sono stato da subito favorevole alla riforma Franceschini. Si ricorda sempre l' articolo 9 della Costituzione, che però ha due commi. Il secondo, quello più citato, parla di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico.
Ma il primo cita una nazione che deve promuovere lo sviluppo della cultura. Su questo ci sono stati ritardi. Che mi pare la riforma provi a colmare. Anche in merito alle nomine, su alcune singole scelte si può discutere, ma il criterio è ottimo: uomini e donne, italiani e stranieri, con formazioni e curriculum diversi. Viviamo in un mondo nuovo. La tutela resta prioritaria, ma occorre saper mettere i beni in relazione con le persone».
«Apertura giusta» anche per Adriano La Regina, per anni soprintendente all' archeologia di Roma: «Finalmente certi criteri vengono adottati anche da noi, viviamo in un mondo che non può vedere barriere nel campo della cultura». Dubbi, infine, da Cristina Acidini, già soprintendente del Polo museale di Firenze: «Credo che con queste nomine gli storici dell' arte che lavorano nei musei statali, professionisti di prestigio internazionale, siano stati molto sottostimati».
2. UNA CURA DA ELEFANTE
Salvatore Settis per “la Repubblica”
TULLIO PERICOLI SALVATORE SETTIS
Per la prima volta nella storia, in un Paese che per il patrimonio culturale non è tra gli ultimi, i direttori dei 20 più importanti musei nazionali vengono nominati in un sol colpo. Come se Le Monde scrivesse che un solo decreto ha nominato i direttori del Louvre e della Gare d' Orsay. E anche del Centre Pompidou, del Museo di Cluny, dei musei di Lione, Marsiglia, Bordeaux, e così via.
Ma notizie come questa non si leggeranno mai sulla stampa francese, o inglese, o tedesca. Perché, allora, questa cura da cavallo (o da elefante) sul corpaccione malato dei Beni culturali? E a quali malanni vuol rimediare questa terapia d' urto? Cinque sono le piaghe più spesso citate: l' accusa di "burocratizzazione", l' autoreferenzialità del sistema, la difficoltà di "valorizzare", la mancanza di fondi e la carenza di personale.
Per carità di patria lasciamo perdere la burocrazia delle Soprintendenze, cara alle invettive lanciate da tanti sindaci (tra cui l' attuale presidente del Consiglio): la legge Madia vi "rimedia" ponendo i Soprintendenti agli ordini dei prefetti, e dunque ci rivela che gli storici dell' arte sono burocrati e i prefetti no. Ma gli altri problemi sono patate bollenti sul tavolo dei neonominati, e vale la pena chiedersi se la procedura d' eccezione seguita per le nomine è davvero la medicina adatta. Chi sostiene che un bando pubblico internazionale per la direzione di un museo sia una buona idea ha mille ragioni; ma di qui a fare venti procedure tutte insieme ce ne corre.
Nessun dubbio che la commissione fosse di alto livello, dal presidente Paolo Baratta a Luca Giuliani (archeologo e rettore del Wissenschaftskolleg di Berlino) e Nicholas Penny (direttore uscente della National Gallery di Londra), a Claudia Ferrazzi (già vice- amministratore del Louvre) a Lorenzo Casini (giurista e consigliere del ministro). Ma è proprio sicuro che ogni candidato meritasse solo 15 minuti di colloquio?
Nonostante la retorica della "valorizzazione", quasi tutti i neodirettori non sono manager della cultura, ma storici dell' arte o archeologi (fa eccezione Mauro Felicori, assegnato a Caserta), con esperienze museografiche. Sette sono stranieri, ma neppure uno viene dalla direzione di un grande museo.
C' è chi ha diretto musei piccoli o medi come quelli di Montargis (Sylvain Bellenger, che dirigerà Capodimonte), di Braunschweig (Cecilie Hollberg, ora alle Gallerie dell' Accademia di Firenze), di Linz (Peter Assmann, che passa al Ducale di Mantova), c' è chi ha lavorato nei musei, ma come curatore (come il neodirettore degli Uffizi Eike Schmidt, o Peter Aufreiter che dirigerà la galleria di Urbino), c' è chi non ha mai lavorato in un museo, come il più giovane di tutti, Gabriel Zuchtriegel (34 anni), a cui è stata assegnata Paestum; c' è, infine, chi viene dalla gestione di una fondazione privata in Italia (Palazzo Strozzi), come James Bradburne.
Anche fra gli italiani in rientro dall' estero nessuno ha diretto un museo, ma quasi tutti hanno esperienze curatoriali: così Martina Bagnoli, curatore a Baltimora e ora direttore dell' Estense a Modena; Flaminia Gennari, che da Miami passa alle Gallerie nazionali d' arte antica di Roma; Paola D' Agostino, che dalle collezioni universitarie di Yale passa al Bargello; mentre Eva degl' Innocenti, che lavora per una rete museale in Bretagna, dirigerà il Museo Nazionale di Taranto. La speranza che si candidassero direttori di musei di prima grandezza è andata delusa: non ha fatto domanda Gabriele Finaldi, appena approdato alla direzione della National Gallery di Londra, né Davide Gasparotto, che ha lasciato da pochi mesi la direzione della Galleria Estense per diventare Senior curator of paintings al Getty.
Quanto agli italiani, delude non poco che, dei molti funzionari del MiBact che avevano fatto domanda, solo una (Anna Coliva, Galleria Borghese) sia stata "promossa": brutto segno per l' Amministrazione, bocciata quasi in blocco dalla commissione, anche quando, come agli Uffizi, erano in corso importanti progetti.
Degli altri, molti vengono dalla direzione di musei regionali o comunali: così Cristiana Collu (già al Mart di Rovereto, ora alla Gam di Roma), Enrica Pagella (dai musei civici di Torino al Polo reale della stessa città), Paola Marini (dai civici musei di Verona all' Accademia di Venezia), Marco Pierini (da Pienza alla galleria di Perugia), Paolo Giulierini (che dal minuscolo museo di Cortona passa a dirigere il più grande museo archeologico del mondo, quello di Napoli), Serena Bertolucci, da Villa Carlotta al Palazzo Reale di Genova; mentre il neodirettore del Museo Nazionale di Reggio Calabria, Carmelo Malacrino, è ricercatore universitario nella stessa Reggio.
Ai neodirettori (età media 50 anni) bisogna per principio far credito. Certo, però, un grande museo non è la stessa cosa di uno piccolo, né chi è stato curatore sarà necessariamente un buon direttore. E sarebbe pia illusione credere che queste nomine aprano davvero una nuova stagione. I neodirettori hanno davanti una mission impossible : rinnovare un sistema sclerotizzato non dalla burocrazia, ma dalla carenza di personale (per il pluridecennale blocco delle assunzioni) e dall' insufficienza dei fondi (ai terribili tagli del 2008, allora deplorati dalla sinistra, nessuno ha mai posto rimedio).
È in questa lunga paralisi (più simile allo sterminio che all' eutanasia) che i musei italiani rischiano di esternalizzare il loro core business , la conoscenza e la ricerca: senza la quale non c' è tutela, ma non c' è nemmeno la decantata "valorizzazione". Perché valorizzare quel che non si conosce non si può: e una vera conoscenza/ tutela/valorizzazione non si fa solo nei musei, ma sul territorio, mentre oggi le Soprintendenze territoriali sono depauperate di risorse e di personale.
I neodirettori sono, è vero, nuova linfa immessa nell' esangue ministero: ma senza massicce nuove assunzioni, nuovi fondi e un rinnovato legame con il territorio non resterà a loro (e al ministro) se non intonare le parole della Regina di Cuori ad Alice: «Ora, vedi, devi correre avanti più che puoi, per restare nello stesso posto».
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