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CALCIO DOTTO - COME LA JUVENTUS RIESCA A GIOCARE PARTITE DI QUESTA SELVAGGIA INTENSITÀ A DISTANZA DI QUATTRO GIORNI DAL BAYERN RESTA UN MISTERO IN OGNI CASO GRANDIOSO. ALMENO QUANTO IL BUFFON QUARANTENNE PIÙ FORTE DI SEMPRE

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Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia

 

Grande partita. Sotto l’acqua e nelle fiamme. Per me grandi partite sono quelle al calor bianco, sempre, comunque, quando la sfida tra le due bande eccede ogni altra cosa, incluso il gol, le buone maniere o il gesto tecnico. Iniettata dal suo stadio, la Juventus parte feroce come spesso le capita. Prolungando il finale di Champions quando, macinata dal più grande Bayern di sempre, ritrovava il filo e un risultato che la restituisce al girone degli speranzosi da qui a Monaco.

 

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Come la gente di Allegri riesca a giocare partite di questa selvaggia intensità a distanza di quattro giorni resta un mistero in ogni caso grandioso. Almeno quanto il Buffon quarantenne più forte di sempre.

 

Dieci minuti e potrebbe essere già mattanza bianconera, vuoi per le cappellate in serie della difesa interista (forse intimidita dal precedente catastrofico di Coppa Italia), ma anche una traversa verdiana di Hernanes che molla sinistro dallo spazio. Manca Marchisio in mezzo al campo, ma nessuno se ne accorge.

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L’oro alias orco bianconero abbonda come sempre da dietro, enorme, dai tre bronzi e bonzi, Barzagli, Bonucci e Chiellini, non solo tre inesorabili buttafuori, ma tre insegne totemiche, da aggiungere alla quarta, Buffon, che da dietro difendono, aggrediscono, premono e ripartono dettando l’azione, a folate o lanci millimetrici.

 

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Solo da poco si comincia finalmente a capire che sono loro, non i Tevez, i Vidal di ieri o i Pogba e i Dybala di oggi  a fare la grandezza della Juventus. Se poi, capita, come stasera allo Stadium, che è uno di loro a firmare anche il risultando, rompendo l’impasse di una partita complicata, il plusvalore dei tre diventa eclatante. Il gol di Bonucci, a inizio ripresa,  assistito dall’ennesima pataccata dell’Inter, questa volta l’allucinante respinta di testa di D’Ambrosio.

 

Detesto Bonucci almeno quanto l’ammiro, per quel suo aver trasformato il cervello in un muscolo, da cui colare sentenze come il “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, già di matrice bonipertiana e motto largamente ottusoide di chi non comprende che l’unico eroismo possibile dello stare al mondo sta nella sconfitta.

 

Maledetto questo, riconosco in Bonucci uno dei tre migliori centrali difensivi del mondo e Pep Guardiola ci ha fatto sapere che la pensa allo stesso modo. Se poi non prendi mai gol, non puoi che vincere, regoletta facile facile. Juventus padrona in Italia. Il penalty, per me molto dubbio, del 2 a 0 di Morata conferma negli arbitri la propensione a manifestare l’ossequio anche quando inutile. 

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In quanto all’Inter. Abbastanza disintegrata dalle capricciose oscillazioni di Mancini che s’innamora dei suoi giocatori e poi li scaraventa in cantina come vecchie bambole rotte o viceversa (la lista del suo volubilismo è drammaticamente lunga, Jovetic, Perisic, Ljajic, Nagatomo, Montoya, Santon, Melo, Palacio, Icardi, ora anche Eder, stabile solo su Handanovic, Miranda, Murillo e Medel), ci ha messo almeno l’anima nella mischia.

 

Ma non poteva bastare. Aveva un tempo quasi intero per rimediare, ma non ha mai dato l’idea di potercela fare. Il terzo posto si fa chimera, il Milan a un punto, e il Puffo indonesiano sempre più divorato dal dubbio. Vedi la smorfia, ormai un ghigno, che ha soppiantato il sorriso.