DAGOREPORT - SI SALVINI CHI PUO'! ASSEDIATO DAL PARTITO IN RIVOLTA, PRESO A SBERLE DA GIORGIA…
Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"
Stasera sarà battaglia; e non solo sportiva. Perché la fratellanza tra italiani e spagnoli è uno dei grandi equivoci della storia.
Nella realtà, i due popoli si sono combattuti e detestati per secoli. La Spagna era la potenza egemone, talora occupante. Milano era governata dagli spagnoli, e neanche troppo bene, come ricorda Manzoni. Il Papa, dopo le tremende prove del valenciano Borgia, poteva essere italiano; ma doveva essere amico. Gli spagnoli si permettevano il lusso di un proprio Stato, detto non a caso dei Presìdi, tra la Toscana e Roma; e consideravano il Regno di Napoli come roba loro. Artisti e musicisti, da Tiziano a Farinelli, partivano per la corte di Madrid.
Persino quando italiani e spagnoli si allearono, come a Lepanto, gli screzi furono tali che il patto venne subito infranto: fino all' assedio di Famagosta e già qualche mese dopo la battaglia, la Repubblica veneta si trovava meglio con i turchi del sultano Selim II, la cui favorita e madre dell' erede al trono era veneziana. Appena avemmo l' occasione, pure noi tentammo di farci valere.
Amedeo di Savoia, figlio cadetto di Vittorio Emanuele II, divenne re di Spagna, da dove fuggì rapidamente per avere salva la vita. Nella guerra civile spagnola gli italiani combatterono su entrambi i fronti. I fascisti si macchiarono di orribili atrocità nelle Baleari, che il Duce sognava segretamente di annettersi, fino a quando Franco non gli fece capire che non era il caso: davanti alle stragi ordinate dal sedicente conte Rossi - si chiamava in realtà Arconovaldo Bonacorsi -, il cattolico conservatore Georges Bernanos si convertì alla causa repubblicana, e scrisse «I grandi cimiteri sotto la luna». Quando poi il regime esaltò la presa di Santander, l' inviato Indro Montanelli scrisse: «È stata una lunga passeggiata con un solo nemico, il caldo».
Negli anni della lunga gelata franchista, l' Italia del boom economico guardava ai cugini latini con un sorriso benevolente, finendo quasi per crederli un popolo fraternamente innocuo. Madrid ci era propizia: nel 1982 vincemmo il Mondiale di calcio della rinascita; dieci anni dopo il Settebello della pallanuoto sconfisse la Spagna in una mitica finale alle Olimpiadi di Barcellona, dopo sei tempi supplementari, con Juan Carlos - nato e cresciuto a Roma - affranto in tribuna.
E invece. Non soltanto le Furie rosse, che nel calcio non ci battevano dai tempi di Zamora, nel 2008 ci eliminarono dagli Europei; nello stesso anno il governo spagnolo annunciò il sorpasso nel Pil procapite (il nostro governo negò, e subito dopo venne la grande crisi a rendere vana la discussione). Telefonica-Telecom e Abertis-Autostrade trattarono fusioni e separazioni. Sabina Guzzanti girò «Viva Zapatero!», simbolo dello spirito libertario lontano dall' Italia ruinian-berlusconiana; e pazienza se poi Zapatero non ha fatto una grande fine.
I nostri figli e nipoti partivano in massa per Barcellona, prima che la Catalogna si infilasse nel labirinto secessionista. Le mamme ascoltavano Julio Iglesias, che parlava benissimo italiano come anni dopo il suo omonimo Pablo, aspirante rivoluzionario che citava Gramsci e Berlinguer. Si andava al cinema per i film di Almodovar, dove i padri diventavano madri e Penelope Cruz una suora sieropositiva; ma i cattolici tradizionalisti seguivano il «santo» chitarrista Kiko Arguello, che ebbe pure lui i suoi guai, mentre dopo Giussani Comunione e Liberazione si affidava a Julian Carron, nato in Estremadura, la regione di Javier Cercas, il grande scrittore che ama l' Italia. Insomma, i punti in comune sono molti; ma non siamo fratelli, anzi siamo quasi sempre stati rivali.
L' equivoco nasce forse dalla percezione distorta che l' Italia ha della Spagna, e viceversa.
Se gli spagnoli pensano l' Italia come un' immensa Napoli, con il sole la pizza il mandolino gli spaghetti, noi pensiamo la Spagna come una grande Andalusia, i tori le corride le spiagge il gazpacho. La Spagna verde, atlantica, zitta, diffidente, ci è estranea; sono posti dove non si va in vacanza e che non si vedono in tv.
Un' antica diceria popolare iberica, radicata nei secoli del declino e delle guerre civili, racconta che la Spagna sia nata sotto una cattiva stella; in Italia avevamo inventato invece la leggenda dello stellone.
Invece oggi - secondo le statistiche - gli spagnoli sono il popolo più ottimista d' Europa, o comunque il più allegro, e noi il più pessimista. La loro cultura calcistica è all' insegna del possesso palla, la nostra è molto più prudente, almeno fino all' arrivo di Mancini. Stasera ce la giochiamo, tra atleti e tra popoli che si conoscono e si stimano; ma che restano diversi.
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