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Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera”
Tornare a correre la maratona di Boston a 70 anni, dopo 50 dalla prima volta, sarebbe già un bel primato. Ma trattandosi di Kathrine Switzer è qualcosa di più. Nel 1967 quella sua cavalcata di 4 ore e 20 minuti, in felpa e pantaloni della tuta un po' abbondanti, cambiò la storia dell' atletica. E non solo. Alle donne non era permesso partecipare a gare di 42 chilometri, erano considerate «troppo fragili» per affrontare uno sforzo così prolungato.
Ma Kathrine era cresciuta correndo. A soli 12 anni usciva in strada da sola, 5 chilometri attorno casa, nessuna delle coetanee avrebbe osato farlo.
Macinava chilometri anche al college, per essere più forte a hockey, il coach di atletica dei ragazzi la notò subito e l' invitò ad allenarsi con loro. Fece scandalo, qualcuno le mandò delle lettere anonime, ma lei tirò dritto, nel vero senso della parola.
Kathrine conosceva la sua forza, sapeva bene che avrebbe potuto finire una maratona, e davvero non capiva quell' assurdo divieto. Così si iscrisse a Boston del 1967, regina della gara di fondo. Aveva vent' anni, bella e spavalda, e ricorse a un innocente sotterfugio. «Mi registrai come K. V. Switzer, perché così mi firmavo nel giornalino dell' università. Nessuno si accorse prima che ero una donna».
Come andò a finire è entrato nei libri di storia del costume. Jock Semple, un giudice di gara, capì presto che tra i partecipanti c' era anche una ragazza. La raggiunse, cercò di bloccarla, la strattonò e le gridò in faccia: «Vattene dalla mia gara, dammi il pettorale».
Finché non venne allontanato dall' allora fidanzato di Kathrine, Tom Miller, 106 chili, lanciatore del peso. Tutto avvenne davanti agli obiettivi dei fotografi, la sequenza fece il giro del mondo anche senza Internet. Kathrine riuscì ad arrivare al traguardo, e vinse cinque anni dopo, quando le donne finalmente vennero ammesse non solo a Boston ma a tutte le gare di fondo.
«Sì, è stata come una rivoluzione sociale - ricorda annunciando che tornerà a Boston -. Oggi negli Stati Uniti ci sono più runner donne che uomini».
Non era solo una provocatrice, ma un' atleta di tutto rispetto. Nel 1974 vinse la maratona di New York, l' anno dopo, ancora a Boston, fece il suo record personale chiudendo in 2 ore e 50 minuti. Nel 1968 si è laureata in giornalismo, è diventata una conduttrice televisiva e autrice di libri di successo sulla corsa. Ha fondato «261 Fearless» («senza paura», accanto al numero del pettorale del 1967 diventato un simbolo), un' associazione che promuove l' emancipazione delle donne attraverso il running.
Dopo 50 anni il 19 aprile non vuole sfigurare: «Mi sto allenando duramente. Sarà una celebrazione, un modo per ringraziare tutti coloro che si battono per rafforzare il nostro ruolo». Per inciso, Tom, l' energumeno fidanzato di allora, divenne suo marito l' anno dopo, ma non funzionò. Si separarono nel 1973. Poi un secondo matrimonio e nuovo divorzio, finché non conobbe un runner e scrittore inglese. Libera di correre, anche nella vita privata.
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