DAGOREPORT - A RACCONTARLO NON CI SI CREDE. RISULTATO DEL PRIMO GIORNO DI OPS DEL MONTE DEI PASCHI…
Vincenzo Trione per la Lettura - il Corriere della Sera
In un articolo del 1934, Theodor W. Adorno si interrogava sulla «forma del disco». Si tratta di una «lastra nera ricavata da una mescola», percorsa da tante curve, che disegnano una scrittura spiraliforme, «finemente increspata e assolutamente illeggibile», capace di svelare «immagini plastiche».
Siamo dinanzi a «erbari di vita artificiale (), pronti a evocare quei ricordi che altrimenti verrebbero stritolati nella fretta e nel tran tran della vita quotidiana». O meglio, a «neri sigilli (...) le cui formule custodiscono le prime e le ultime voci della creazione».
Dispositivi che consentono di riprodurre e di conservare la musica. «Fotografie acustiche» che, scriveva Adorno, si sono «risparmiate la trasfigurazione artigianale () in un' autonoma dimensione artistica».
Sin dagli anni Cinquanta, per attirare gli sguardi di chi entrava nei negozi, i vinili iniziano a truccarsi e a vestirsi , rendendo sempre più seduttivi gli abiti che li proteggono: le copertine.
Che spesso vengono realizzate da artisti, come ricorda Francesco Spampinato in un volume, Art Record Covers, appena pubblicato da Taschen, dove si ricostruisce in maniera avvincente e rigorosa una storia in larga parte ancora inesplorata: il gioco di connessioni che, dal secondo Dopoguerra, ha legato arte e musica.
Nel momento in cui progetta una cover, un artista si muove su diversi piani. Per un verso, si mette al servizio di un altro autore, intervenendo solo su quelli che, con Gérard Genette, potremmo definire i «paratesti» dell' opera, intesi come i dintorni, le parti ausiliari sempre «al servizio di qualcos' altro», gli accompagnamenti senza i quali, però, l' opera stessa non potrebbe esistere.
Per un altro verso, l' artista-visual designer accetta di declinare il suo stile spesso sofisticato ed elitario in una chiave autenticamente pop, rendendolo subito comprensibile e comunicativo. Per un altro verso ancora, si serve di questa occasione - lavorare per l' industria discografica - come di uno stimolo. Per sperimentare. Per osare.
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Per fare quello che l' art system non permette. Per trasgredire regole e ritualità. Per provare a rimanere libero. E dare voce a un immaginario non di rado eccessivo, irrequieto.
Affascinati dalla possibilità di diventare «integrati», molti artisti pensano le copertine come quadri per tutti. Non da appendere alle pareti di una casa o da custodire nei musei o nelle gallerie, ma concepiti per decorare le custodie dei dischi. Quadri che si possono trovare ovunque: nei negozi di tutte le città. E hanno prezzi democratici.
Un po' come i registi che girano videoclip, pittori e scultori accolgono con entusiasmo l' invito a rappresentare il mood di un album, ponendosi in bilico tra fedeltà e infedeltà. In alcuni casi, fanno un omaggio a popstar con cui hanno rapporti di amicizia e consuetudine: come Julian Schnabel per Elton John, Shepard Fairey per Billy Idol, Jeff Koons per Lady Gaga.
In altri casi si propongono di evocare visivamente le atmosfere suggerite da Lp o cd: come fanno Peter Blake per Sgt. Pepper' s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, Gilbert&George per All di Day & Taxi, Basquiat per First Record di The Offs, Haring per The Baby Beat Box di Emanon, Robert Mapplethorpe per Horse s di Patti Smith, Francesco Clemente per One Hit to the Body dei Rolling Stones, Mimmo Paladino per Henna di Lucio Dalla, Maurizio Cattelan per Ora di Jovanotti.
In altri casi ancora, gli artisti vogliono donare un' immagine alle canzoni: si pensi a quanto fanno Andrea Pazienza per Hollywood-Hollywood di Roberto Vecchioni e Damien Hirst per Narcissus Road di The Hours. In altri casi, infine, partono dalla fonte musicale, per divagare: in questa direzione si è mosso Andy Warhol, autore di più di sessanta copertine. La più celebre - e leggendaria - risale al 1967: è per The Velvet Underground & Nico (un disco di cui ha scritto la scorsa settimana su «la Lettura» Massimo Zamboni). È una superficie bianca. Sul lato destro, le istruzioni per l' uso: « Peel slowly and see ». In primo piano, una banana gialla: è possibile sbucciarla lentamente, per scoprire la polpa del frutto.
Qualche anno dopo - nel 1971 - sempre Warhol è l' ideatore del concept di Sticky Fingers dei Rolling Stones. Una scandalosa gimmick cover: un paio di jeans la cui zip è una vera cerniera lampo, che si può abbassare, per spiare gli slip del modello fotografato.
Il senso di questi anarchici crossover è nelle scelte di uno tra i padri dell’underground italiano, Mario Schifano. Una personalità totale. Pittore, fotografo, regista, scrittore. E cantante: animatore, nel 1967, di un gruppo, «Le stelle di Mario Schifano».
Dunque, un artista che vuole coniugare musica e pittura. Guida una band. E ne progetta la cover del primo e unico album Dedicato a (tirato in 500 copie). Un azzardo psichedelico. Un paesaggio delirante: stelle rosso fuoco su un fondo azzurro.
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