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Giancarlo Dotto per Dagospia
Ogni partita un romanzo. Questa volta crudelissimo. Nel bollore di Fortaleza, il primo time out compassionevole del calcio, acqua e ombra per i dannati, e Messico che sembrava aver già portato sombreri e nuvole tra le prime otto al mondo, grazie a Dos Santos, che fa il verso a James Rodriguez, e a Ochoa che parava col naso una bomba da mezzo metro.
E invece, prima il fin lì inutile Sneijder e poi quel mostro a tripla velocità di Robben. Partita e destino capovolti. Olanda avanti. Tifo Olanda da sempre, da quando Johann Crujiff mi squagliò il cuore, ma oggi no, oggi tifavo Messico, solo per veder esultare Miguel Herrera, un esilarante pupazzone, di quelli che ti porteresti ovunque, anche, soprattutto, nella bara, per quanto ti cambia l’umore.
Tra un John Goodman formato nano e Pappalardo, ma più rotondo e meno inquietante, senza vene che scoppiano dal collo. L’Oronzo Canà messicano guadagna un centesimo di Fabio Capello, l’uomo tutta scucchia e spocchia, e oggi stava per toccare il paradiso. Ma torna a casa e le sue lacrime non fanno ridere. Piangono anche tutti i tifosi. Messico come il Cile. Hanno vinto comunque. Ma se hai uno come Robben con te, hai Dio con te.
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