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Giancarlo Dotto per Dagospia
Tevez e compagni volevano mandare un messaggio al loro vecchio torturatore Conte: “Brutto stronzo, siamo cattivissimi anche senza di te!”. Cattivi lo sono stati, quasi furiosi, poco lucidi per ottanta minuti, ma poi ti ricordi di chiamarti Pogba e fine dei giochi. Campionato strachiuso e persino il pallido principino, lassù, l’ultimo degli Agnelli, si concede alla fine uno stiloso sorriso di sazietà.
Ma la notizia oggi si chiama Lazio. La sparo grossa, ma mica tanto. Avesse avuto più organico e più tempo, la bella banda di Pioli avrebbe fatto vedere i sorci verdi alla Juve di Allegri. Di sicuro, è la più credibile candidata al secondo posto, considerando i languori da stitichezza cronica della Roma e l’umoralità del Napoli.
Pioli, ragazzo intelligente e lineare, non si vergogna di mettere il talento in campo. E ne ha a bizzeffe. Ieri, dentro tutti, Candreva, Mauri, Cataldi, Biglia e Anderson, al servizio del magnifico Klose. Tiene in panca, soffrendo, solo Keita, uno che quando duetta con Anderson cantano anche le iene.
La Lazio ha il torto quasi marcio di chiudere il primo tempo con un solo gol di vantaggio, invece dei minimo tre che dovevano essere, dopo quarantacinque minuti di show assoluto, strapotere tecnico, calcio fluido e tifosi che godono come cinghiali al parco.
E se Biglia, il solido traliccio in mezzo al campo di tanto luna park, va giù con il machete, Klose e Felipe Anderson peccano in leziosità. Ora, poiché io vado notoriamente pazzo del brasileiro, Anderson, per me una questione di fede, che fa un devoto? Aspetta che la sua divinità si manifesti. Cosa che accade puntualmente. Felipe si beve tale Tomovic, che cerca le gambe non potendo mai trovare la palla. Rigore e partita chiusa. Il resto è Klose. In tutti i sensi.
Una Fiorentina meno leziosa e più boscaiola in campo, ma se non hai Gomez e nemmeno Babacar e se Salah non trova spazi, si fa dura. Montella non ha paura di fare i cambi, che vuol dire virilmente “ho sbagliato formazione o, quanto meno, ho sbagliato a leggere la partita” e chiama Gilardino, l’unico per quanto spompatissimo buttadentro che gli resta. Ma non basta. Troppa Lazio. Troppa grazia.
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