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IRENE SOAVE per il Corriere della Sera
Il bersaglio delle critiche non è che le opere di artiste, in una mostra che intende rappresentarne il trattamento iniquo nella storia dell'arte, siano 60 su 134: meno di metà. Né che un quadro attribuito alla pittrice Concepción Mejía sia stato invece dipinto da un uomo e sia stato quindi ritirato.
La mostra Invitadas («Invitate») con cui il museo madrileno del Prado ha riaperto dopo il lockdown raccoglie «Frammenti circa le donne, l'ideologia e le arti visive in Spagna (1833-1931)», così il sottotitolo; e si propone come «un viaggio critico attraverso la misoginia» del Prado, che in un moto di autocritica al passo con l'epoca ammette di averle considerate a lungo come Invitadas . Comprimarie.
Il mea culpa del museo si articola già nei titoli delle 17 sezioni: « El molde patriarcal » (la parola molde vale «matrice», ma anche «muffa»); «Madri sotto esame»; «Manichini di lusso»; e così via. La lente è su acquisizioni e commesse di opere d'arte da parte dello Stato e del Prado stesso; le donne sono molto più oggetti che soggetti dell'arte pittorica, e soprattutto miniaturiste o autrici di nature morte: insomma relegate. Un autodafè che il Prado compie sulla sua collezione, da cui vengono tutte le opere. Molte escono per l'occasione dai magazzini, e 40 sono state restaurate apposta. Eppure 8 accademiche hanno firmato una lettera al ministro della Cultura: col pretesto di additare la misoginia, scrivono, la mostra la celebra.
Metà della mostra è dedicata allo «sguardo misogino», argomenta Rocío de la Villa dell'Università di Madrid: equivale a perpetuarlo. «Nella mostra si presentano tutte le degradazioni possibili del femminile: nude, prostituite, infantilizzate. Un catalogo pieno di morbosità, e non diverso dall'immaginario attuale». «La mostra fornisce un contesto: il problema delle artiste nel passato era che lo Stato le escludeva, riducendole a ruoli minori». Si difende così sul Guardian il curatore Carlos Navarro. È uno dei conservatori del museo, esperto del XIX secolo, ed è - come sbagliarsi, in una mostra sull'esclusione delle donne dalle istituzioni dell'arte- anche un uomo.
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