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Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
So che ci vorrà ancora molto tempo prima di ascoltare una vera telecronaca di una partita di calcio. Sembra incredibile ma nella catena auditiva non si è ancora verificato il salto evolutivo dalla radiocronaca.
Sono passati 70 anni dalla prima telecronaca (70 anni!) ma il racconto della partita è ancora fermo a Tomori passa a Theo Hernández, da questi a Pobega, da Pobega a Rebic. Mentre i telecronisti si premurano di dirci quello che tutti vediamo, proviamo a «vedere» se si può togliere il pleonastico, la zavorra inutile, procedendo per sottrazione.
È fastidioso essere storditi dal profluvio di statistiche: la Sampdoria non vince sul campo del Verona dal L'ultima vittoria risale al Le due squadre, negli scontri diretti, hanno collezionato tot pareggi. Adesso va di moda contare anche gli assist, come si fa nel basket.
E chi se ne frega, voglio seguire le azioni! È deleterio quando il telecronista, a dieci o quindici minuti dalla fine, è mosso dall'irrefrenabile bisogno di sentenziare: «Se la partita terminasse con questo risultato, la Salernitana in classifica». Non è buona educazione sollecitare gesti scaramantici. È totalmente inutile ricordarci a che minuto siamo della partita. In alto, a sinistra c'è un timer.
È ridicolo interpretare cosa stia pensando l'allenatore, l'arbitro o un giocatore. Che senso ha ripetere «il tale si accontenta del fallo laterale?». Che ne sa il telecronista se quello si è accontentato o no. Se alle telecronache si togliessero questi inutili orpelli (la sottrazione suggerita) ne guadagnerebbe il silenzio (il capitolo sull'invasione delle seconde voci lo affronteremo prossimamente).
Finché il narratore non avrà capito il valore delle immagini, del rumore ambientale, del silenzio (il suo) non ci sarà vera telecronaca. Il silenzio è una rinuncia che si trasforma in conquista e che permetterebbe, tra l'altro, di disfarsi di molti ingombranti luoghi comuni.
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