salvatore bagni

“DOPO LA MORTE DI MIO FIGLIO DI 3 ANNI DECISI DI FARMI STERILIZZARE” – SALVATORE BAGNI, EX CENTROCAMPISTA DEL NAPOLI, RACCONTA IL SUO DRAMMA: “RUBARONO LA BARA, CI CHIESERO DEI SOLDI, 300 MILIONI DI LIRE. LI AVREI PAGATI, MA ME LO IMPEDIRONO. UN GIORNO CI SAREMMO DOVUTI INCONTRARE A PREDAPPIO. MI MISI ALLA GUIDA CON UNA VALIGETTA DI SOLDI FALSI E IL GIUBBOTTO ANTIPROIETTILE. AVEVO TRE AGENTI DEL ROS NASCOSTI CON ME. MA NESSUNO SI FECE VIVO” – LO SCUDETTO CON MARADONA (“HO 30 ORE DI FILMATI CON LUI CHE NON VENDEREI MAI”), LA MORTE DELLA MADRE CHE LO SALVO’ DALLO TSUNAMI IN SRI LANKA E QUELLA VOLTA CON L’EX PRESIDENTE DELL'INTER PELLEGRINI…

Simone Golia per corriere.it - Estratti

 

salvatore bagni

(...)

 

Quanto ha guadagnato?

«Tantissimo, già nel Perugia dei miracoli più di alcuni giocatori di Inter e Juve. Ho mantenuto i miei genitori fino alla loro morte. Quella di mia mamma mi ha salvato la vita».

 

Cioè?

«Venne a mancare il 16 dicembre del 2004. Io e mia moglie stavamo per andare in Sri Lanka, avevamo già prenotato tutto. Ma decidemmo di ritardare il viaggio e di virare sulle Maldive. Dieci giorni dopo ci fu uno dei più violenti tsunami di sempre che devastò il Paese. I morti furono oltre 200mila».

 

Colpì anche le Maldive però.

«Ma molto meno. Eravamo in spiaggia, per fortuna non nei bungalow. Ricordo l'enorme massa d’acqua e un rumore che non si può dimenticare. Mia figlia rimase paralizzata dalla paura, per salvarla la presi di peso e l’attaccai a un albero».

 

 

Nel 1992 invece suo figlio Raffaele le morì fra le braccia. Aveva 3 anni.

«Eravamo tutti e cinque in macchina, guidava mia moglie. Stavamo andando pianissimo, a 38 km/h. Un’auto non rispettò lo stop e andammo a sbattere contro un muretto. È stata fatale l’apertura dell’airbag. In quel momento ce l’avevo in braccio e non sedeva dietro perché era stato appena allattato e temevamo che potesse vomitare. Noi genitori abbiamo cercato di restare vicini ai suoi fratelli, affidandoci a degli psicologi anche per quello che è successo dopo».

 

salvatore bagni con la famiglia

La salma venne trafugata.

«Ce l’hanno portato via per la seconda volta. Saranno stati almeno in quattro a scavalcare il cancello e a entrare in quel cimitero, prelevando la bara dall’alto. Ci chiesero dei soldi, 300 milioni di lire, anni dopo un procuratore ci disse che probabilmente sarebbero serviti per finanziare il sequestro Soffiantini.

 

Alle chiamate dei sequestratori rispondevo direttamente io, dovevo cercare di intrattenerli il più possibile per far sì che i Ros li intercettassero. Li avrei pagati, ma me lo impedirono. Un giorno ci accordammo, ci saremmo dovuti incontrare a Predappio. Mi misi alla guida con una valigetta di soldi falsi e il giubbotto antiproiettile».

 

salvatore bagni maradona

E come andò?

«Avevo una macchina dietro e tre agenti del Ros nascosti con me. Dovevo avere una bicicletta sul tettuccio così che i sequestratori mi potessero riconoscere, poi mi avrebbero lanciato dei segnali luminosi dopo una quarantina di chilometri. Abbiamo ripetuto il tragitto per tre o quattro volte, nessuno si è fatto vivo. Forse avevano capito che non ero solo, forse non mi hanno visto. Quel giorno c'era una nebbia fittissima».

 

C'è stata una seconda possibilità?

«Da lì il silenzio assoluto. Ho ricevuto tante lettere di pentimento dal carcere, ma mai una confessione. Molti dei protagonisti ritenevano inaccettabile offendere in quel modo la memoria di un bambino morto appena un mese prima ma temevano di essere uccisi se avessero parlato. Il dolore per Raffaele non passerà mai, però lui vive sempre accanto a noi».

 

Ha mai desiderato fare un altro figlio?

«Non esiste la copia di un figlio. Ne avevo già avuti tre, avevo già la mia famiglia. Decisi di farmi sterilizzare»

 

 

Il primo a chiamarla dopo la tragedia di Raffaele?

«Maradona».

 

Un rapporto speciale il vostro.

salvatore bagni e il figlio raffaele morto nel 1992

«Arriviamo a Napoli insieme, nel 1984. Alloggiavamo nello stesso hotel. Io insieme a mia moglie, lui con altre 10 o 15 persone. Eravamo agli opposti, a me non piaceva uscire la sera. Ma fra noi la stima fu immediata perché lo trattavo da Diego e non da Maradona. Se avevo qualcosa da dirgli, glielo dicevo. Abbiamo passato nottate intere a discutere di cose che gli scottavano».

 

Per lei si sarebbe trasferito a Cesenatico.

«Per 30 anni è venuto a casa nostra, si fermava per almeno 15 giorni portandosi dietro una decina di amici. Andava a giocare a golf, solo che aveva i suoi orari. Si svegliava alle 12, faceva colazione, andava al campo e pranzava alle 15. Un giorno gli andai a parlare. "Guarda Diego che questo non è un albergo, si mangia alle 12.30 e alle 19.30". Lo capì, bastava dirgliele le cose».

 

Un altro aneddoto?

«Nel 2005 si opera allo stomaco a Cartagena. Lo invito, si ferma a casa mia per un mese e mezzo: "Diego, perché non vieni con me alla scuola calcio?", gli chiedo. Era sempre al campo, mattina e sera. Voleva vincere contro tutti, l'idraulico, il panettiere... non l'avevo mai visto così felice e in forma, neanche da calciatore».

salvatore bagni diego maradona 8

 

Che rapporto aveva con i suoi figli?

«Ha fatto di tutto per loro. Si metteva a palleggiare in casa con Gianluca e lo sfidava in giardino a chi centrasse più traverse. Per il diciottesimo compleanno di mia figlia Elisabetta prese un aereo dall'Argentina, piombando a casa a sorpresa e lasciando di stucco il suo fidanzato, che era grande tifoso del Napoli. Custodisco 30 ore di filmati con Diego, non li venderei per nessuna cifra al mondo».

 

Al Mondiale di Messico '86 lo marcò.

«Prima della partita con l'Argentina il c.t Bearzot ci chiese chi se la sentiva di difendere su Maradona. Tutti in silenzio, solo io alzai la mano. Mi conosceva, mi avrebbe rispettato. E infatti mi rispettò, salvandomi anche da un cartellino rosso. Entrai male sul portiere, Pumpido, direttamente sullo stomaco. Ne scaturì una zuffa, lui mi allontanò. "Stai calmo Salvatore, hai ancora mezzo torneo da giocare"».

 

La pazienza invece la perse con Ernesto Pellegrini.

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«Nella primavera del 1984 diventa il nuovo presidente dell'Inter. Era fissato con lo stile Juve, tutte le settimane veniva a dirmi che avrei dovuto cambiare atteggiamento. Me lo fece dire anche da Mazzola. "Vedi di calmarti un attimo in campo". Giocai malissimo, senza il mio agonismo non ero nessuno. E infatti dopo qualche settimana Sandro mi richiamò: "Salvatore, come se non ti avessi detto niente. Torna a giocare come prima"».

 

E Pellegrini?

«Alla decima volta che mi diceva di cambiare carattere gli risposi. "Presidente, basta. Se la pensa così mi venda". In estate poi mi fece rientrare di corsa a Milano perché doveva dirmi qualcosa. Ero al capezzale di mia suocera, arrivo credendo che mi avesse trovato una squadra. "In realtà le volevo solo comunicare che verrà in ritiro con noi". Mi mise una mano sulla spalla davanti a tutti, ero furioso. "Presidente, veda di toglierla sennò le tiro un pugno e la rispedisco nel suo ufficio"».

 

(…)

 

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Però ha scritto due libri.

«E a gennaio ne uscirà un terzo, "Va alla guerra col sorriso". Il primo («Guerriero») nasce dall'idea di uno psichiatra che incontro sul treno Bologna-Napoli. Non volevo raccontarmi, ma ha insistito per cinque anni. Alla fine ha vinto lui».

 

Cosa fa oggi?

«Consulente-mediatore, da 30 anni vendo giocatori in tutto il mondo. Di calcio non capisco niente, ma di calciatori sì. Gestisco un'agenzia con mio figlio Gianluca, io mi occupo più della parte tecnica, lui di quella burocratica. Viaggiamo tanto, se c'è da andare a Sydney facciamo le valigie e la mattina dopo partiamo».

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Ma a 68 anni non è stanco?

«Conosco tanta gente, sono sempre in movimento. Sto meglio ora di quando ne avevo 20. Anzi, lì mi stancavo prima».

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