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ARTSPIA - TUTTI I CONTRO I CHAPMAN, CHE SON LI' DA NOVEMBRE E NESSUNO SE NE ERA ACCORTO! MA NEL FURORE DELLA POLEMICA BALNEARE ECCO SETTE BUONI MOTIVI PER DIFENDERE I FRATELLI TERRIBILI. (IMPUGNATE GLI OMBRELLONI)

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Alessandra Mammì per Dagospia

 

 

jake and dinos chapmanjake and dinos chapman

Tutti contro i Chapman, sebbene siano lì al MaXXI da novembre e nessuno aveva protestato. Neanche a Natale in nome del bambinello c'era stata una alzata di scudi contro la pedofila scultura nel degenerato museo. Ci voleva Il Generale Agosto per far scoppiare la polemica balneare più lo scandalo ingigantito dall'assenza di foto per solleticare ancor più scandalosi pensieri. Ma anche i Chapman Brothers hanno diritto a una difesa contro le  indignazioni dei benpensanti in costume da bagno. E dunque eccola: con due o tre cose che so di loro

 

 

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Punto Uno: Iakonos (detto Jake) e Kostantinos (detto Dinos) Chapman è da almeno 15 anni che lavorano sull'orrore. Può anche non piacere, ma è un tema frequentato nell'arte e monumentalizzato dai pittori controriformati che indugiavano parecchio sulla graticola di San Lorenzo o nel colorare le orbite sanguinolente coagulate sul piatto mostrato da Santa Lucia. C'è anche lo scuoiato Michelangiolesco che fa un certo effetto se vogliamo.

Jake-and-Dinos-Chapman Jake-and-Dinos-Chapman "Tragic Anatomies"

 

Punto Due: Jake e Dinos non sono figli dell' horror movie né dei fumetti porno, ma di un babbo insegnante d'arte e di una madre greco-ortodossa osservante. In più hanno frequentato con buoni risultati il Royal College of Arts, tanto da essere stati alla fine degli studi assoldati come assistenti da Gilbert&George che nella Londra fine anni Ottanta erano già giustamente considerati indiscussi maestri. Qualcosa in tutto questo tempo avranno pur imparato.

PiggybackPiggyback

 

Punto Tre : Nei primi anni anni Novanta Jake e Dinos sono due Young British Artists. Per anagrafe e Cursus Honorum. Fin dai tempi di “Sensation” -la mostra con cui Charles Saatchi nel 1997 battezzò tutti gli YBA- segnarono le linee guida della loro carriera. Esposero “Great Deeds against the Death”: un albero a cui sono appesi brandelli di corpi. Da lì, corpi smembrati, cadaveri, membra mozze, genitali al posto del volto, creature mostruose fuse tra loro diventano la loro tavolozza.

 

 Marc Quinn Marc Quinn

Punto Quattro :Può fare orrore ma non meno della guerra in Iraq che ormai si dichiarava endemica, della fine della lunga idea di pace per l'Occidente, del terrore della bomba dietro casa, della decadenza in cui l'intera Europa stava entrando.Tutti quegli allora giovani e creativi inglesi vengono contaminati da un'idea di morte. Lo squalo in formalina di Damien Hirst (titolo:“La fisica impossibilità di concepire la morte per un essere vivente”), il letto sfatto sporco e malato di Tracey Emin, l'autoritratto di Marc Quinn scolpito nel suo stesso sangue coagulato. In America Jeffrey Deitch già nel 1992 con l'epocale mostra “Post Human” segnava la strada di un analogo percorso con gli artisti che dichiaravano la fine del Novecento fra le fiamme di un nuovo inferno. Dunque non c'era da stare allegri per chi stava crescendo con la paura (se non consapevolezza) che il futuro sarebbe stato peggiore del passato dei genitori.

 

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Punto Cinque: Jake & Dinos hanno riferimenti culturali precisi. Prima di tutto Goya e i suoi “Disastri della guerra”, li ricostruiscono in un'opera del 2000 , dal titolo “Hell” (“Inferno”), tutta pupazzetti come i soldatini con cui da bambini si gioca a cowboy e indiani. Ma qui i pupazzetti sono massacrati, i corpi maciullati, le donne violentate, i cadaveri ammucchiati in fosse comuni e i nove set di orrore messi in scena in nove teche che compongono nello spazio la forma di una svastica.

 

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Punto sei :Non solo Goya, i Chapman hanno un buona cultura classica. In interviste e dichiarazioni parlano anche di Poussin, Rodin, William Blake. Scrivono saggi e libri come “MeatPhysic del 2003” presentano installazioni con bambole gonfiabili in acrobatiche scene di sesso e la intitolano “Death”, si sottopongono a interviste filosoficamente complesse dove tengono testa a dotti interlocutori ( vedi :Maja Damianovic “Journal of contemporary art”).

 

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Punto Sette : questo è in difesa del museo che ha prudentemente protetto e segnalato l'opera tanto che in nove mesi nessuno se ne è accorto. E se le opere che rappresentano lo spirito dei tempi non ci piacciono, forse non ci piacciono i nostri tempi. Ma non è colpa del MaXXI che da museo delle arti del XXI secolo, in questo caso ha fatto il suo contemporaneo lavoro.