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Salvatore Settis per “la Stampa”
L' onda d' urto dell' arte contemporanea, travolgendo regole, abitudini, pratiche consolidate, sembra aver innalzato un' impenetrabile barriera verso l' arte «antica», comunque la si voglia definire.
Negli scritti critici, ma più ancora nel comune sentire, è come se questa drastica rottura con il passato dovesse necessariamente comportare un nuovo inizio, il divorzio definitivo dai tempi lunghi della storia in nome di un presente che sempre si rinnova, ma non sedimenta, non ha memoria, non viene da lontano, né accetta di farsi esso stesso «passato» col trascorrere degli anni: o è presente, o non è.
Il filo spezzato Rispecchiando le ansie e i problemi del nostro tempo, l' arte contemporanea subito s' innerva su sensibilità attualissime, vi si riconosce: si tende così a negare che nulla di simile possa mai essere avvenuto. Anche (forse soprattutto) gli studiosi di arte antica sono dominati da questo paradigma della frattura, della discontinuità, della grande muraglia fra «antico» e «contemporaneo»:
è per questo che spesso, per rivitalizzare un museo storico attraendo visitatori, lo si riduce a mera cornice di mostre di arte contemporanea, quasi che da esse debba venire non il confronto né lo stimolo, ma la vera, l' unica giustificazione culturale e politica dell' istituzione-museo.
Si dà per scontato, insomma, che si sia spezzato il filo della tradizione artistica, che ha determinato per secoli non l' immobilità ma il cambiamento, in un dialogo ininterrotto fra ogni artista e quelli delle generazioni precedenti.
Formule espressive, gestualità, sperimentazioni stilistiche, strategie compositive furono di norma intese come proprie dell' invenzione individuale di un artista, e dunque potenzialmente innovative, ma rispetto a un riconoscibile orizzonte di pratiche, di linguaggi e di memoria.
Al punto che talvolta il vertice dell' innovazione fu pescare modelli, riprendere temi, imitare posture non dall' arte delle ultime generazioni, ma da un passato assai più remoto: tipicamente, l' arte greco-romana, come accadde in età fecondissime di studio e d' idee come il Rinascimento o il Neoclassico.
Nonostante la vulgata di una brusca discontinuità, anche troppo diffusa, sappiamo che anche la produzione artistica contemporanea include in modo più o meno consapevole ed esplicito, e spesso al suo centro, forme di reazione emotiva o critica all' arte del passato. Questa reazione può manifestarsi anche capovolgendo di segno gli echi dell' arte antica, provando a negarne l' esistenza, o perfino presupponendone la totale distruzione.
Lo spazio del discorso Ma ogni artista sa (e lo sa il suo pubblico, anche quando non ne ha coscienza) che l' arte contemporanea non sarebbe pensabile senza il secolare processo che ha creato lo spazio del discorso storico-artistico, ha generato la stessa nozione di «arte» e ha legittimato pratiche e istituzioni (dal mercato al museo) strettamente necessarie alla produzione artistica contemporanea.
In questo orizzonte, nulla pare lontano dalla tradizione artistica quanto la videoarte. Il marcatissimo salto tecnologico fa qui da discrimine, quasi che l' uso di un nuovo mezzo espressivo debba comportare una rifondazione totale dell' arte; tanto più che alle spalle della videoarte vi sono «salti» tecnologici non meno radicali (fotografia, cinema, televisione).
Bill Viola, videoartista tra i primissimi, contraddice radicalmente questo pregiudizio.
Abituati a comparare il simile al simile, ci arrestiamo sulla soglia quando irrompe l' assoluto dissimile di una nuova tecnica artistica. Ma per sua scelta e per nostra fortuna, Bill Viola è un pittore: come avesse trovato nuovi pigmenti e nuovi supporti, dipinge con le tecniche video.
Nel formato, nel tema, nella gestualità, nei movimenti e artifizi espressivi o narrativi, nella carica emotiva, egli fa e rifà a ogni passo «i conti con l' arte»; intavola con l' osservatore un dialogo che presuppone il riferimento a saldissime radici nella storia pittorica che ci ha preceduto.
Il passato ricomposto Predelle come Catherine' s Room (2001), trittici come The City of Man (1989) o The Nantes Triptych ( 1992), riprese di temi cristiani (Cristo al sepolcro) come Emergence (2002), esplicite citazioni come The Greeting (1995), che riprende la Visitazione di Pontormo (1528), mezze figure che presuppongono la tradizione fiammingo-veneta delle immagini in close-up come la serie Passions (Getty Center, 2003), «affreschi» ciclici digitali come Going Forth by Day (2002).
E si potrebbe continuare. Ma la vera domanda è se la traccia profonda che le opere di Bill Viola lasciano nella mente e nelle emozioni dell' osservatore non debba qualcosa a quel suo ricomporre e rilanciare, da maestro che ha assimilato la lezione di altri maestri, dati e «nodi» della tradizione artistica che fanno parte, a livello ora più ora meno consapevole, del suo paesaggio mentale, della sua intenzione d' artista. Ma anche del nostro (involontario) patrimonio di esperienze figurative.
Come ha scritto Susan Sontag, il piacere del conoscitore è «a game of recognition», l' abilità di riconoscere in un' opera vista per la prima volta qualcosa che aggancia la memoria. Ma se conoscere è riconoscere, un tal piacere non può esser dato in esclusiva ai più squisiti, esperti, sofisticati intenditori: anche l' osservatore più veloce, il meno sottilmente educato, il meno competente è guidato, spesso inconsapevolmente, dalla voglia di estrarre il noto dall' ignoto, di vivere le proprie emozioni (anche letterarie, anche figurative) sulla falsariga delle proprie esperienze, della propria cultura figurativa.
Isolde' s Ascension ( The Shape of Light in the Space after Death ), un video di 10'30" (2005) che la Fondazione Palazzo Magnani presenta affiancandola a un' Ascensione della Maddalena dipinta da Giovanni Lanfranco quasi quattrocento anni prima, risponde a questa regola nascosta, perché comporta un doppio meccanismo di riconoscimento, evidenziato dal tema e del titolo, e ora esaltato dall' accostamento al quadro di Lanfranco.
Tra creazione e memoria Lanfranco non rappresenta la Maddalena penitente, come d' abitudine, ma la lancia in un cielo luminoso e nuvoloso e la fa muovere, sorretta da tre putti alati, sopra un vasto paesaggio, a mostrarne l' estasi ascetica.
La wagneriana Isotta, a cui il video di Bill Viola si ispira, è legata anch' essa a una narrazione che innesta l' intensità (o l' esaltazione) emotiva sulla prospettiva della morte: l' amore profano dell' eroina di una storia che dal Medio Evo a Wagner (e oltre) conobbe mille varianti ha funzione analoga all' estasi divina della Maddalena, e perciò genera analoghi esiti espressivi.
Nel solco della tradizione figurativa, nella perpetua tensione fra creazione artistica e memoria delle immagini, fra pregnanza narrativa e espressività pittorica, il «quadro» di Bill Viola e (saremmo tentati di dire) il «video» implicito di Giovanni Lanfranco si rispecchiano, si illuminano a vicenda.
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