DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Emanuela Audisio per “la Repubblica”
Ha 22 anni. Se non volete farla arrabbiare non la definite una Balotelli all’incontrario. Valentina Diouf gioca a volley, è attaccante della nazionale azzurra. E anche il futuro di un’Italia che cambia. Si è confessata ad Andrea Schiavon in un libro che esce domani (Quando sarai grande, Mondadori). E che racconta la fatica di chi cresce (in altezza) in fretta. E non si ritrova più.
Una Cenerentola senza scarpina?
«Il principe azzurro non avrebbe fatto fatica a individuarmi. Di piede porto il 47. Sono alta 2.02. Da ragazzina sono cresciuta 7 centimetri in un mese. E non mi sono più ritrovata: a letto, nei jeans, nella vita. Se tiravo il lenzuolo sulla faccia, spuntavano i piedi. Ero una diversa. Una dalle misure sbagliate.
M’ingobbivo per entrare nelle foto, ma il mio corpo non mi permetteva di essere una bambina. Avrei voluto urlare: sono alta, non grande. Non era una crescita, ma una metamorfosi. Ho fatto fatica ad accettarmi: dai 7 ai 17 anni ho lottato con i miei capelli che volevo lisci. Giorni interi a stirarli. Per questo ho tutti i diritti di dire agli adolescenti: non aggiustatevi, andate bene così».
Solo questo?
« No. Vorrei aggiungere: lo sport cura molti mali, ma non li guarisce tutti. Io sono cresciuta senza papà, che si è allontanato quando avevo due anni, è andato in America. E anche questo crescere senza mi ha fatto sentire diversa, avevo un buco dentro, che non riuscivo a riempire, che mi dava conflittualità e insicurezza. Per tanto tempo l’ho scansato, poi un giorno l’ho affrontato. Ho fatto quella telefonata,vomitando di tutto: io mi sono sempre sentita una figlia, tua figlia, ma tu sei proprio sicuro in questi dodici anni di essere stato un padre? Ho pianto, ma ho tirato fuori tutto».
Suo padre, Serigne, è senegalese.
«Di Mbacké a 200 chilometri da Dakar, verso il mare. Mi chiedono tutti: ti senti africana?
No, sono italiana, anzi milanese, di Settimo, parlo in dialetto. Non rinnego le mie radici, sono stata in Senegal, e ho trovato paesaggi magnifici, anche se certi aspetti delle città, come i fili elettrici scoperti, mi piacciono meno. Ma quella parte lì, dentro di me, è ancora poco conosciuta.
E da poco papà mi ha raccontato del suo arrivo a Roma a fine anni Ottanta, delle sue difficoltà, ha anche dormito alla stazione Centrale di Milano, prima di potersi iscrivere all’università. Per me sono esperienze sconosciute, nessuno mi ha mai sbattuto una porta in faccia. Anzi, sembra quasi che tutti mi scambino per bianca».
In che senso?
«C’è gente che mi ha fatto dei commenti negativi e piuttosto volgari su una giocatrice nera. E mi chiedo: possibile che non si accorgano del colore della mia pelle? Possibile che non capiscano che dicendo quelle cose offendono anche me?
Ma sono sicura che quei commenti erano genuini e non diretti a me, non volevano farmi male. Se l’Italia si è affezionata a me, razza mista, e mi tratta da sua figlia, lo considero un passo avanti. La prova che nel nostro Paese qualcosa è cambiato».
Che altro le fa male?
«Vedere lo spazio che i media dedicano al calcio. Troppo. Non ce l’ho con i calciatori, la pressione quotidiana su di loro è enorme, ma in Italia non dare agli altri sport la possibilità di esistere non è giusto ».
Fiocco, il suo soprannome.
«Me l’hanno dato l’allenatore Davide Mazzanti e Francesca Piccinini. Per dire che ero come un fiocco di neve che si adagia a terra. Bello, ma lento. Anch’ io ho iniziato a giocare a pallavolo guardando in tv Mila e Shiro. La prima volta che mia mamma, Silvia, è venuta a vedermi, si è messa a ridere, e mi ha detto: sembri una giraffa che piega le zampe per bere. Tanto ero poco agile e fuori tempo.
Nel mini- volley le piccole, le bonsai, mi schiacciavano in faccia, mentre io cercavo di mettermi al posto giusto. Questo racconto nel libro: la fatica nel riuscire a non vergognarsi più di un corpo. E di non essere la sola che si deve raggomitolare nella vasca da bagno».
Lei è una casalinga ossessiva.
«Ah sì, ecco, pulisco, disinfetto, ho le mie ossessioni, non sopporto lo sporco, e sulle pulizie non temo confronti. Anche se il mio mito è Audrey Hepburn, fisicamente all’opposto. Il tatuaggio che ho sotto il seno è: joie de vivre . Rappresenta il mio approccio al mondo. Quello che ho sulla schiena è una mano dove ci sono religioni diverse, segno di culture differenti».
Davanti al “panvocalica” e “ortoalfabetica” è rimasta male.
«Sì. A me? Non sapevo se dovevo arrabbiarmi. Mi ha definito così Stefano Bartezzaghi, perché Valediouf è un nome che ha tutte le vocali dell’alfabeto e anche in ordine. Quanto all’amore sono una pendolare visto che io e il mio fidanzato Maurizio Vorzillo, anche lui pallavolista, ci inseguiamo per l’Italia».
Pennetta lascia a 33 anni.
«Fa bene. Ci vuole una buona dose di coraggio per una scelta così. Ma a un certo punto bisogna dire basta e fare altro. Chi fa sport ad alto livello vive in un altro mondo, non si rende conto che fuori c’è un’altra vita, con altri ritmi e stimoli. Non bisogna avere paura di smettere e di crescere».
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