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    TIRI MANCINI - L'EX PRESIDENTE DELL'AREZZO PIERO MANCINI CONDANNATO A 2 ANNI E MEZZO PER IL CRAC DEL SUO GRUPPO - IL PM AVEVA CHIESTO UNA CONDANNA A 5 ANNI. IL PATRON, PRESENTE IN AULA, ASSOLTO SUL FILONE CHE RIGUARDAVA IL CLUB AMARANTO – “TUTTO QUELLO CHE HO FATTO L’HO FATTO PER DARE LAVORO. SULL’AREZZO HO CERCATO DI FAR CONTENTI I TIFOSI, MA ANCHE DI TOGLIERMI QUALCHE SODDISFAZIONE PERSONALE”


     
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    Da lanazione.it

     

    Piero Mancini è stato condannato a due anni e mezzo per il crac del suo gruppo. La sentenza è arrivata dopo la camera di consiglio: una pena dimezzata rispetto a quanto aveva chiesto il Pm Marco Dioni. In aula lo stesso ex presidente dell'Arezzo. "Sono tranquillo, come il capitano di una nave che deve solo portare la nave in porto" spiegava in attesa del verdetto.

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    L'unico altro condannato è uno degli amministratori del gruppo, Paolo Grotti: condanna a due anni ma con la sospensione della pena.

     

    Mancini è stato condannato per la distrazione di un fondo a titolo personale intorno a due milioni, distrazione che come il resto ha sempre negato. E' stato invece assolto per il filone legato all'Arezzo calcio e che era la parte più corposa dell'accusa e della requisitoria del Pm.

     

    Ha sempre giurato di non essersi messo in tasca un centesimo e di non essere pentito di niente perché non c’era niente di cui pentirsi. E lo aveva fatto anche a fronte della richiesta di condanna presentata dal Pm Marco Dioni,  pesante: cinque anni per bancarotta fraudolenta, la conseguenza penale del crac dal quale nel 2013 fu inghiottito il suo gruppo, che al massimo del fulgore era arrivato a fatturare decine e decine di milioni, con tremila dipendenti divisi fra il settore dell’impiantistica telefonica (la Ciet), quello dell’edilizia (la Mbf), la metalmeccanica e persino la telefonia (Flynet).

     

     

    La  richiesta di condanna era rivolta anche a due ex amministratori del gruppo, Augusto Sorvillo e Paolo Grotti, per i quali Dioni chiedeva due anni e tre mesi. Il primo è stato assolto, il secondo, come dicevamo, condannato ma con sospensione della pena

     

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    Si erano invece salvati dai fulmini della procura la figlia di Mancini, Jessica, e i nipote Giovanni Cappietti, che del presidente era stato il braccio destro nell’Arezzo e che con lui condivise il carcere, nella discussa inchiesta Flynet del 2008, che segnò l’inizio del declino del gruppo. Per entrambi Dioni aveva chiesto l'assoluzione.

     

    Mancini già alla richiesta di Dioni si era detto sorpreso dalla stangata e che avrebbe vovoluto spiegargli di persona come erano andati i fatti. I i soldi finiti nelle casse della società amaranto erano il tema principale della requisitoria, nonchè il capo d’accusa più corposo: 13 milioni usciti dai conti del Mancini Group e finiti ad Arezzo Immagine, la controllante del Cavallino. Il tutto quando la holding aveva in pancia solo il 10 per cento dell’Arezzo, mentre il resto era personalmente in quota al presidentissimo. E allora perché una cifra così importante che esce dal gruppo e non direttamente da Mancini? Un interrogativo che non ha pesato sulla sentenza, sul filone amaranto c'è stata infatti l'assoluzione.

     

     

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    C'erano poi nella richiesta del Pm i capitoli di 1,5 milioni dirottati a Flynet e di altri cinque che da Cometi transitano verso Ferrosud, la società che il patron possedeva in Basilicata. Ma decisivo alla fine solo il milione e spiccioli che in un foglio excel, ritrovato dalla Guardia di Finanza, gli impiegati del Mancini Group avevano annotato come liquidati direttamente all’ex presidentissimo. "Loro scrivevano che pagavano me ma io non ho usato un centesimo per le mie esigenze personali. Ci pagavo gli straordinari dei dipendenti e tutto quanto serviva per mandare avanti le aziende. Io dopo 55 anni di attività devo ancora lavorare se voglio mangiare. L’agenzia delle imposte me li ha persino imputati come tasse. Non le ho pagate perché non ho i soldi per farlo".

     

    Nel complesso, dei circa sessanta milioni di bancarotta fraudolenta che erano stati inizialmente contestati a Mancini e ai suoi collaboratori come bancarotta fraudolenta, nella requisitoria del Pm Dioni ne restavano in piedi una ventina, quelli di cui si è detto sopra, a cominciare dai 13 milioni dirottati verso l’Arezzo. E la sentenza si è fermata ad un milione o poco più.

     

    Ma pentito mai. "Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per dare lavoro. Sull’Arezzo ho cercato di far contenti i tifosi, ma anche di togliermi qualche soddisfazione personale". E ora? "Ora spero che i giudici (presidente Filippo Ruggiero Ndr) la pensino diversamente dal Pm".  E diversamente almeno in parte l'hanno pensata: la condanna è arrivata ma a due anni e mezzo e non a cinque

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