DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Alessandro Rico per "La Verità"
Marina Terragni: giornalista, scrittrice, femminista, che proprio nel nome del femminismo, contrasta l'identità di genere.
Il ddl Zan vuole imporla nelle scuole?
«Vada su Feministpost.it: si parla di una mamma americana che si rivolta contro la propaganda trans tra i banchi. Una contestazione rarissima, perché lì vivono nel terrore».
La prospettiva post Zan sarebbe questa?
«Ovunque è così. Ma dopo anni di dominio delle associazioni come Mermaids, in Gran Bretagna questi corsi non si fanno più. Il punto di svolta è stato la sentenza Keira Bell».
Keira Bell è la ragazza britannica alla quale, a 16 anni, furono somministrati in modo molto disinvolto i farmaci per bloccare la pubertà. Poi scelse di tornare indietro, ma i danni erano già irreparabili. Ha fatto causa al Sistema sanitario e i giudici hanno stabilito che a 16 anni non si può prestare un vero consenso informato a questi trattamenti. Corretto?
«Sì. Ora siamo in attesa della sentenza d'appello. Quello è stato il giro di boa, perché si è intervenuti in difesa di bambini che vengono già bombardati dalla propaganda».
In che modo?
«Ho visto addirittura dei cartoni animati con la famiglia arcobaleno di castori e la castorina che aveva la doppia mastectomia. Una castora trans. La propaganda è pesantissima, soprattutto in Canada e negli Usa. E in Gran Bretagna ci hanno dato un taglio: evidentemente, hanno messo in correlazione questo lavoro di propaganda con l'aumento vertiginoso delle transizioni infantili».
Di nuovo: è questo che ci aspetterebbe dopo il ddl Zan?
«Ma guardi che già qualche anno fa, nello scuole, lo spettacolo più rappresentato non era Pirandello, Molière, Goldoni o Shakespeare, ma Fa'afafine».
Il Corriere lo presentò come lo spettacolo sul «terzo sesso dei bambini».
«Appunto. E poi c'è tutto il filone della "carriera alias"».
Cioè?
«Ti chiami Luigi, ma ti senti Luigia e quindi ti fai assegnare un'identità di genere diversa da quella anagrafica, valida dentro la scuola o l'università. Lo sa che in Canada adesso c'è l'unicorno Gegi?».
Cos'è?
«Un pupazzetto disegnato che aiuta i bimbi che si sentono di un genere diverso da quello biologico a far fronte alla resistenza dei genitori. Una specie di "consulente legale". Perché in Italia lo scenario dovrebbe essere diverso? Anche sull'utero in affitto».
Scusi, ma lo scopo qual è? Aumentare i casi di transessualità infantile?
«A quanto pare».
Ma perché?
«C'è un mercato. E non è un concetto banale. Tra i più grandi sostenitori di Barack Obama c'è stata la famiglia Pritzker: Big pharma».
Allude alla vendita dei farmaci che bloccano la pubertà?
«Certo».
C'è chi obietta: se si sospetta una disforia di genere nel minore, è meglio somministrargli quei farmaci e sospendere la pubertà. Tanto, il processo è reversibile.
«No, assolutamente. È stato comprovato da vari studi che gli effetti sono irreversibili: ad esempio, quelli sulla densità ossea. E ci sono rischi sulla fertilità futura. Ma c'è anche un altro aspetto impressionante».
Quale?
«Molti dei bambini ai quali si diagnostica la disforia di genere, in realtà sono autistici. Sarebbero più o meno la metà di quelli che si rivolgono alle cliniche per l'identità di genere. E poi qualsiasi consulto psicologico viene liquidato come una "terapia riparativa"».
Cioè, un tentativo di far diventare eterosessuale un omosessuale.
«Il che sarebbe una forma di tortura. Ma Keira Bell dice un'altra cosa: dovevo essere aiutata perché ero depressa, invece, dopo due incontri alla Tavistock, mi hanno prescritto gli ormoni. Perciò, di recente, la Finlandia ha reintrodotto le terapie psicologiche. C'è un paradosso».
Ovvero?
«Gran parte di questi ragazzini sono semplicemente gay e lesbiche. Ma con loro si fa come in Iran, dove se sei gay ti attaccano a un albero, ma se invece cambi sesso, vieni accettato».
Il documento politico del gay pride milanese ha chiesto esattamente che le transizioni di genere siano consentite senza alcun consulto psicologico.
«Si chiama self id».
Sarebbe?
«Lei domani si sveglia e fa un atto amministrativo in cui, senza alcuna perizia, senza sentenze, senza testimoni, chiede di essere registrato come donna. Esiste a Malta, in Canada. In Inghilterra, invece, dopo anni di lotte hanno chiuso...».
Chiaro. Ma se dopodomani mi risveglio e voglio tornare uomo?
«Non saprei. Questo fenomeno non l'hanno ancora esplorato. Intanto, il 29 giugno, in Spagna, il cdm esamina la ley trans. All'inizio, Podemos era scatenato, mentre il Psoe aveva fatto molta resistenza».
E poi?
«I socialisti hanno improvvisamente cambiato posizione. Ora sa qual è una delle mediazioni che hanno trovato?».
Qual è?
«Lei può sempre andare all'ufficio a dire che si chiama Alessandra. Ma poi deve tornare tre mesi dopo a confermarlo. Questa sarebbe la mediazione. Ma mi lasci tornare un attimo alla questione dei soldi».
Prego.
«Lo spiegò benissimo Ivan Illich in un libro profetico del 1984, Gender. L'obiettivo è creare individui sciolti da ogni relazione, perfino quella con il loro corpo».
Perché?
«Perché questi sono i precari assoluti: non hanno più nemmeno la certezza del corpo. Sono perfettamente funzionali a produzione, consumo. Quello che mi serve, sei».
Il gay pride milanese chiede anche il pieno accesso degli omosessuali a tutte le tecnologie riproduttive. Incluso l'utero in affitto, allora.
«Be', questo lo hanno sempre rivendicato».
In sostanza, lo scopo è andare ben oltre Zan, no?
«Zan è l'apripista, con l'imposizione del concetto di identità di genere. È questo che a loro interessa di quella legge, insieme alle scuole. Tutto il resto è contorno».
Il mondo Lgbt è misogino?
«Sì»
Ma in che senso?
«I rapporti tra il mondo gay e quello femminista sono molto antichi. Da parte delle donne c'è sempre stato questo approccio protettivo nei confronti di persone che, fino a un certo punto della nostra storia, sono state effettivamente perseguitate».
Però?
«Ora c'è una specie di emancipazione del mondo gay dal femminile».
Che intende?
«Il gay "femmineo" non è più una figura apprezzata: sono tutti palestrati, barbuti. C’è una maschilizzazione del mondo gay, che ci riporta in dinamiche di contrasto tra donne e uomini. Ma bisogna stare attenti».
A cosa?
«Non facciamo l'errore di pensare che tutto il mondo gay sia questa roba qua. Ad esempio, non tutti i gay sono di sinistra».
Naturalmente.
«Se vai in certi ritrovi gay di Milano, a Porta Venezia, trovi pure gente che vota Lega, Forza Italia, Giorgia Meloni. Ci sono imprenditori di grande talento, che hanno aperto locali molto belli, e che se va Monica Cirinnà a fare la lezione sull'utero in affitto, vivono la cosa con una certa insofferenza. Non gliene frega niente degli obiettivi politici dell'Arcigay».
Il caso Saman ha messo in imbarazzo le femministe?
«Non attribuiamo al femminismo gli imbarazzi della sinistra. Il femminismo non appartiene né alla sinistra né alla destra».
Ma ha senso ricondurre un episodio del genere alla stessa matrice del cosiddetto «femminicidio»?
«Il dominio di un sesso sull'altro, che Joseph Ratzinger ha definito perversione, è un fatto incontestabile».
In Italia è un reato.
«Ma come vede non basta. In più ci sono una cultura estremamente arretrata e un feroce autosessismo delle donne: la mamma ha avuto una funzione essenziale in questo presunto omicidio. Abbiamo il peggio del peggio del patriarcato, che s'intreccia con motivi legati a fondamentalismo religioso che, per esempio, impongono il velo, perché il corpo di una donna è considerato un pericolo».
Appunto.
«Però non si può nemmeno incolpare l'islam. L'islam era anche l'Egitto di Nasser, la Persia di Reza Pahlavi, Kabul con i night club Certo, in questo momento, la ripresa del fondamentalismo fornisce una cornice culturale e religiosa a questi fenomeni».
E la fatwa dell'Ucoii?
«Una cosa sbagliatissima. Così si equipara la legge coranica alla legge dello Stato».
Si condanna il matrimonio forzato, ma non quello combinato. Una femminista non dovrebbe inorridire?
«Se hanno scritto questo, è perché devono salvare capra e cavoli. È comunque illibertà femminile: corpi di donne intese come oggetti che servono allo scambio tra famiglie».
Citava il velo.
«Lo rispetto. Ma in questi giorni di caldo, io sto in canotta e la ragazza islamica sta con una coperta sulla testa. Faccio fatica a capire: il corpo chiederebbe anche a lei di scoprirsi, ma il suo corpo è concepito solo come il disordine pre Maometto».
Cioè?
«L'idea di una donna sessualmente incontentabile, vorace, che va costantemente controllata, a cui si affida il compito di custodire l'onore maschile. Una fantasia drammatica, che nasce dalla paura».
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