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Carlo Andrea Finotto per “Il Sole 24 Ore”
Le esportazioni del made in Italy crescono del 2,9% a ottobre, nel confronto con lo stesso mese del 2013 (+0,4% su settembre). Ma pesa, soprattutto in prospettiva, il crollo della Russia.
Se il risultato è buono nel complesso, infatti, non fa però sorridere come potrebbe. I granelli di sabbia nell’ingranaggio dell’export sono più d’uno, come emerge dal report Istat sulle esportazioni di ottobre. Su tutti, a livello percentuale, spicca il calo del Giappone e di Mosca, i due grandi malati dell’economia mondiale – il primo con la “Abenomics” in crisi, la seconda a causa di recessione, tensioni geopolitiche con l’Ucraina e sanzioni decise da Ue e Stati Uniti – che a ottobre hanno importato rispettivamente il 22,1% e il 15,8% in meno rispetto allo stesso mese 2013. A poco serve consolarsi con il peso specifico basso dei due Paesi (1,5% il Giappone, 2,8 la Russia).
A preoccupare sono soprattutto le prospettive sull’enorme mercato russo il quale, se non si scioglieranno le tensioni internazionali e Mosca non guarirà dalla grande depressione in cui è precipitata, potrebbe ridursi sempre di più per prodotti simbolo del made in Italy ad alto valore aggiunto, come moda, arredamento, agroalimentare (si veda altro articolo in pagina). La Russia, tra l’altro, con il -18,6%, zavorra anche le importazioni italiane, che registrano un -1,6% a ottobre e -1,8% da inizio anno.
«Il dato russo è preoccupante – conferma Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma – ma aggiungerei anche i Paesi Opec. Insieme queste due aree rappresentavano il 10% nel 2013, oggi si sono ridotte». Per De Nardis, il crollo del prezzo del petrolio «se da un lato può avere effetti positivi sulla domanda interna, dall’altro rischia di penalizzarci su importanti mercati di sbocco».
A frenare le rotte dell’export, tuttavia, ci pensano anche la Francia (che da sola vale quasi l’11% delle nostre esportazioni) che scende a ottobre del 4,6%; e la Svizzera (che pesa per il 5,2%) che fa segnare -5,2%. Ma sulle performance della Confederazione influiscono molto le quotazioni dell’oro.
L’Italia incassa il +2,9% di ottobre, quindi, ad altri mercati brillanti: il piccolo Belgio, ad esempio, cresce del 21,8% (forse non tutti immaginano che la sua quota sul totale delle esportazioni italiane è quasi doppia rispetto a quella del Giappone e maggiore di quella russa), la Polonia, terra di delocalizzazioni e in espansione, mette a segno +21,2%. Ma ci sono anche la corsa degli Stati Uniti – il cui +9,8% ha un effetto traino importante per l’export italiano, visto che gli Usa “valgono” quasi il 7% del totale –, la performance del Regno Unito (+13,7% a fronte di una quota del 5% sul totale) e il risveglio della Turchia (+13,1%).
Se si sposta lo sguardo sulle tipologie di beni, il segno “meno” nelle esportazioni riguarda i beni di consumo durevoli (-1,2%) e l’energia (-1,8%), senza la quale il dato complessivo salirebbe a +3,1%. È sempre l’energia, inoltre, a limitare le importazioni, con un -25,7% grezzo e un -4,6% destagionalizzato (a parità di giorni lavorativi), che contribuiscono a portare in negativo il dato complessivo dell’import: rispettivamente a -1,6 e -0,9%.
Scendendo nel dettaglio dei settori produttivi i risultati migliori rilevati dall’Istat riguardano la produzione di autoveicoli (+14,5%), l’agricoltura (+11,6%), la produzione di mezzi di trasporto diversi dalle auto (+10,9%), la farmaceutica (6,5%) e i macchinari (+3,8%). I segni negativi si limitano al comparto della raffinazione dei prodotti petroliferi (-2,8%), alla metallurgia (-1,4%) e alla gomma-plastica (-0,1).
La bilancia commerciale risulta positiva per 33,6 miliardi, grazie anche ai quasi 5,4 miliardi di avanzo di ottobre. Altro aspetto incoraggiante: «Il quarto trimestre si è aperto bene – sottolinea De Nardis – e questo può fare ben sperare».
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