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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI NON AVEVA ALCUNA VOGLIA DI VOLARE A PARIGI AL VERTICE ORGANIZZATO DA…
Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"
Ci sono anche l'editore Carlo De Benedetti (25 mila euro), il giornalista di Libero Fausto Carioti (20 mila) o l'avvocato Francesco Giorgianni (25 mila), oltre ai Democratici di sinistra per il dossier Oak Fund (50 mila) e al giornalista del Corriere Massimo Mucchetti (30 mila), tra le 25 parti civili che, vittime dei dossieraggi della Security di Telecom-Pirelli nell'era di Giuliano Tavaroli, si sono viste riconoscere mercoledì dalla Corte d'Assise i risarcimenti accollati a 6 dei 7 condannati, in solido con le due aziende responsabili civili per i dipendenti.
Ma per gli investigatori privati Marco Bernardini (7 anni e mezzo) ed Emanuele Cipriani (5 anni e mezzo), per gli hacker Andrea Pompili (4 anni) e Roberto Rangoni Preatoni (2 anni e mezzo), per l'ex giornalista di Famiglia Cristiana Guglielmo Sasinini (3 anni e mezzo) e per l'agente Antonio Vairello (3 anni) i veri problemi sono altri. Da un lato i 2 milioni a testa (per un totale di 12) da risarcire alla Presidenza del Consiglio e ai ministeri Interno-Economia-Giustizia, nonché all'Agenzia delle Entrate e all'Autorità Garante per la concorrenza.
Dall'altro, il maxiacconto di 10 milioni di euro sul futuro risarcimento che tutti i condannati ex dipendenti di Telecom (tranne Angelo Jannone, assolto dall'associazione a delinquere e condannato a un anno per un fatto in Brasile come dipendente Latam) dovranno versare a Telecom a ristoro dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, arrecati con i propri reati all'azienda dell'epoca.
Dietro l'angolo in Appello si affaccia la prescrizione che già adesso ha prosciolto Amedeo Nonnis, Giovanni Nuzzi, Fabio Bresciani, Giuseppe Porcelluzzi e Manuela Lupi. Ma in primo grado a uscire con le ossa rotte dal verdetto sono soprattutto gli investigatori privati Bernardini e Cipriani, il quale vede estendere a favore dei ministeri il sequestro preventivo di 16 suoi milioni.
A proposito di quanto in interviste e libri con alcuni giornalisti era stato fatto balenare da questi due imputati, da Tavaroli (4 anni patteggiati) e dallo 007 Marco Mancini (uscito dal processo grazie al segreto di Stato posto dal governo), in requisitoria il pm Stefano Civardi si era spinto a evocare «il potere mediatico delle spie che penetra fin nel processo»: potere che a suo avviso si sarebbe espresso nel «mettere a fuoco un significativo bersaglio che consentisse di distrarre il pubblico», ovvero Tronchetti Provera, oggi peraltro imputato di ricettazione di materiale informatico sottratto alla Kroll dagli hacker di Tavaroli.
Ma «l'unico soggetto che avrebbe potuto coinvolgere il vertice nell'accusa di condivisione delle modalità illecite di raccolta delle notizie da parte dei fornitori della Security, e cioè Tavaroli, queste accuse non le ha mai rivolte nei verbali dei pm, pur verosimilmente meditando in cuor suo sull'umana ingratitudine e lasciando trapelare», nel suo «abituale sgusciante e intelligente modo di rispondere, parte del suo rancore in moltissimi interventi pubblici».
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