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il ministro degli esteri zarif il presidente rohani e il capo di gabinetto nahavandian
Dietro l'accordo Iran-USA sul nucleare, naturalmente, non c'è il nucleare. C'è sempre il caro vecchio petrolio (con il caro vecchio gas), e la volontà americana di riequilibrare le forze in Medioriente.
Teheran, con la sua influenza in Siria, Libano, Iraq, è l'unico contraltare alla prepotenza sunnita, che va dall'Arabia Saudita fino allo Stato Islamico, passando per Emirati, Qatar e pure per la Turchia.
Mettere fine alle sanzioni vuol dire sbloccare il commercio con un Paese che può diventare il secondo produttore al mondo, e togliere di mano ai sauditi la loro arma più potente: decidere il prezzo del greggio. E rende anche meno proficuo finanziare i terroristi, utili strumenti per spaventare i 'Satana occidentali', ma soprattutto per 'destabilizzare il Medioriente' e - sempre lì torniamo - tenere alto il prezzo del petrolio.
Naturalmente l'accordo è stato osteggiato da Israele, che sogna di vivere ancora in una regione dominata solo da Tel Aviv e dal Cairo e che riceve armi e finanziamenti americani alla luce della solita instabilità mediorientale.
Non sono le scemenze di Ahmadinejad o degli ayatollah su "Israele cancellato dalla mappa" a preoccupare Netanyahu, quanto il suo essere ormai fuori dai giochi e dalle trattative portate avanti da Obama/Kerry. L'America di Bush non avrebbe mai firmato un patto così osteggiato da Israele.
Depotenziati (per ora) i sauditi, messi al loro posto gli israeliani, rivoluzionate le forze in campo. Ma in Italia leggiamo solo le trombette sui "miliardi" che la fine delle sanzioni all'Iran varranno per le nostre aziende. È vero, siamo uno dei principali partner commerciali del Paese, ma prima della concreta riapertura dei commerci bisognerà aspettare almeno fino al 2016.
Di sicuro, non siamo partiti col piede giusto. Quando l'amministratore delegato dell'Eni, "l'alieno" Claudio Descalzi, si è recato lo scorso maggio a Teheran, ha incontrato il ministro del petrolio Bijan Zangeneh, e al ritorno si è vantato con 'Repubblica' di aver fatto il viaggio per 'sbloccare 800 milioni di euro di crediti commerciali' che il cane a sei zampe vanta nei confronti della Repubblica Islamica.
Una pessima idea. Iniziare le trattative con una controparte - che ha il potenziale di diventare una gallina dalle uova d'oro - ricordando il suo ruolo di debitrice ed esigendo di liquidare quanto dovuto, è la peggior tecnica negoziale (troverete conferma dalle parti dell'eurogruppo).
Descalzi ha poi avuto un colloquio anche il presidente Rohani, e il suo capo di gabinetto, lo sveglio e 'Western-educated' Mohammad Nahavandian, avrebbe riferito a un importante banchiere europeo che si è trattato di un 'incontro deludente', nel quale il manager italiano si è comportato con un' 'arroganza inconcepibile'.
La sostanza del suo discorso era questa: l'Iran ha le compagnie petrolifere di mezzo mondo (anche americane) che fanno la fila fuori dalla porta per buttarsi nell'esplorazione e nello sfruttamento dei giacimenti, e questi italiani sono arrivati con le fatture in mano a battere cassa sui conti del passato? Non solo è da principianti dei negoziati, è da principianti del mondo persiano.
Lo stesso Nahavandian sarebbe invece rimasto piacevolmente sorpreso dal ben più scafato Marpionne. Si aspettava - lui sì - un bullo dai modi spicci, invece ha trovato un manager che sa essere flessibile e soprattutto che ha venduto molto bene la sua idea di costruire una fabbrica Fiat-Chrysler nel paese, dove si prospetta una crescita vertiginosa del mercato automobilistico.
rohani con zangeneh e un nuovo impianto di estrazione petrolifera
linda douglass lapo pistelli john r phillips
Quello che ora spera il governo è che l'imbarazzante nomina di Lapo Pistelli come vicepresidente Eni serva per recuperare un po' i rapporti. L'ex viceministro degli esteri è stato molte volte a Teheran e conosce bene il paese. Il suo 'know-how', insomma, serve sempre e solo a una cosa. Il petrolio.
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