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Gianluca Paolucci per “la Stampa”
Un investimento coi fiocchi. Che non ha paragoni nel mondo bancario. Chi ha investito 100 euro in azioni Veneto Banca 10 anni fa, adesso ne avrebbe poco meno di 190. Avrebbe, perché Veneto Banca non è quotata e vendere quelle azioni non è facile.
Comunque, il risultato al momento è un’inchiesta che ipotizza il reato di aggiotaggio sul titolo dell’istituto. Indagine coordinata dalla procura di Treviso, separata da quella della procura di Roma, emersa martedì ma che prende spunto, anche in questo caso, dai risultati dell’ispezione di Bankitalia. E della faccenda si stanno occupando anche gli ispettori di Consob, da metà gennaio nella sede di Montebelluna.
Per capire come funzionava il gioco finito nel mirino delle procure, occorre ricostruire quanto è successo negli ultimi anni alla banca e alle sue azioni. Problema: come finanziare una forsennata campagna di acquisizioni che porta la piccola Popolare di Asolo e Montebelluna a diventare in un paio di lustri la decima banca italiana, con oltre 600 sportelli che vanno dal Veneto al Piemonte, dalle Marche alla Puglia e ramificazioni in Albania, Croazia, Romania e Moldavia?
Risposta: si rivalutano di anno in anno le azioni con delibera dell’assemblea. Poi si delibera un aumento di capitale e si vendono le azioni allo sportello della banca, ai propri correntisti. Con il ricavato si pagano le acquisizioni. Il meccanismo è semplice e consentito dalla normativa sulle popolari non quotate. A Veneto Banca però si erano fatti prendere la mano. Nel 2004 il prezzo è fissato a 21,25 euro. Un anno dopo il prezzo passa a 25 euro per azione e Veneto Banca compra la banca del Garda.
Passano tre anni durante i quali le acquisizioni vanno a gonfie vele. Veneto Banca entra nella torinese Bim e in Palladio, compra banche in Moldavia e in Croazia e si prende la Popolare di Intra. Nel maggio 2008, la solita perizia stabilisce che le azioni valgono 35,5 euro. Erano altri anni, certo. La finanza andava a gonfie vele, Lehman Brothers non era ancora fallita e «spread» era un termine per addetti ai lavori. Veneto Banca però cresce ancora: compra CariFabriano e Banca Apulia.
Nel giugno 2010 le azioni «valgono» 38,25 euro. Non male, se si considera che nello stesso periodo di tempo le borse sono crollate e l’indice delle 50 maggiori società europee (Stoxx50) ha perso più del 40%. Non spaventa neppure la crisi del debito: a settembre 2011, in piena tempesta, il prezzo è 40,25 euro. A maggio 2013 il picco: 40,75 euro. Poi arriva Bankitalia e guarda caso nel 2014 il prezzo cala per la prima volta dopo anni di corsa inarrestabile. Poco, a 39,5 euro. Ma è il pensiero che conta. Solo che nel frattempo vendere quelle azioni è diventato sempre più complicato.
Tra il 2013 e metà 2014 all’istituto erano pervenuti 388 reclami di soci. Già nel 2013 la Consob aveva sanzionato con 495 mila euro (ridotti a 307 mila dalla Corte d’Appello) Veneto Banca per le «diffuse e reiterate condotte irregolari» nella «valutazione di adeguatezza delle operazioni disposte dalla clientela, in particolare su azioni e obbligazioni» emesse dall’istituto di Montebelluna.
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