L’ANNO DEL DRAGHI - IL PRESIDENTE DELLA BCE VA AVANTI SULLA STRADA DEI FINANZIAMENTI AGEVOLATI ALLE BANCHE FORTE DEL CONSENSO MONDIALE E SE NE SBATTE DELLE CRITICHE DEI CRUCCHI - SUPER MARIO: “ADESSO SPETTA AI GOVERNI NAZIONALI ACCELERARE LE RIFORME PER AGEVOLARE LA CRESCITA” - LA LIQUIDITÀ È NULLA SENZA CONTROLLO: CHE CI FANNO LE BANCHE CON TUTTI QUESTI SOLDI SE POI PER AVERE UN PRESTITO BISOGNA IMPEGNARSI ANCHE LA MADRE?...

Claudio Lindner per "l'Espresso"

L'8 marzo è diventato "Mr. Frankfurt" e ha firmato il librone d'oro degli ospiti Vip della città. La photo opportunity apparsa sul circuito interno della Banca centrale europea ritrae Mario Draghi nel salone del palazzo municipale Römer (romano, come lui), pronto a vergare il tomo storico inaugurato nel 1904 dal Kaiser Guglielmo II. Ricorda le piccole notizie di campanile, roba da pagine locali o da Cral aziendale. Ma, visti i tempi che corrono nella Bce, assume un sapore diverso. In piedi, alle sue spalle, sorride infatti il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Sì, proprio lui, il "rivale".

Uno dei pochi che nelle ultime settimane ha spezzato il coro unanime di consensi, pressoché planetario, che circonda Draghi per le mosse anti-crisi avviate a partire da dicembre attraverso la riduzione dei tassi di interesse, in due tappe, e due maxi finanziamenti agevolati al sistema bancario europeo, all'1 per cento e per tre anni. Il primo dei due rifinanziamenti, che tanto scandalo hanno creato tra i tedeschi della Bundesbank, è partito il 22 dicembre per un totale di 489 miliardi e ha riguardato 523 banche.

Il secondo ha spiccato il volo il primo marzo. Totale quasi 530 miliardi, banche in fila circa 800, quandi anche istituti minori, locali, che dovrebbero aver distribuito quattrini a famiglie e imprese, si fa notare alla Bce. Comunque, quattro passi decisi e coraggiosi quelli suggeriti da Draghi, che hanno creato una certa qual baruffa. Weidmann ha più volte esplicitato il suo dissenso, con il sostegno diretto o indiretto della stampa tedesca.

Una sua lettera personale a Draghi, nella quale sottolineava i rischi di queste operazioni sia in termini di aumento dell'inflazione sia di stabilità del sistema bancario nei paesi deboli e, a cascata, per la stessa Bundesbank, è finita sul quotidiano "Frankfurter Allgemeine" suscitando non poche polemiche. Ha sorpreso molti il fatto, inusuale in Germania, che un documento privato e riservato venga pubblicato da un giornale. Chi è stato, chi ha compiuto l'azzardo?

E tra i due c'è ormai una frattura insanabile? La foto di cui sopra sembra attestare un disgelo. E così le dichiarazioni pubbliche. Nessuna rottura, i nostri rapporti personali e professionali sono molto buoni, andiamo d'accordo e ci rispettiamo a vicenda - ha dichiarato la settimana scorsa il banchiere tedesco - però non mi sento isolato all'interno del consiglio direttivo della Bce.

Anche Draghi tende a smorzare le differenze. Nessuno nega che ci possano essere dei rischi nelle due operazioni di liquidità - è la sua posizione, spiegata da chi gli sta vicino - ogni volta che si usa una medicina potente, si sa che essa può comportare effetti collaterali pesanti. Nella sostanza ci sarebbe una differenza di enfasi sui tempi e sulle conseguenze.

A soffiare sul fuoco della disputa ai vertici della Eurotower c'è ad esempio il settimanale "Spiegel", che ha dedicato un'ampia inchiesta all'argomento titolandola "Lo strappo". L'accusa principale: lui che è stato in Goldman Sachs vuole coprire i problemi delle grandi banche soprattutto del Sud Europa. In un altro editoriale dello stesso giornale Draghi viene etichettato Mister Bolla. Il paradosso è che furono gli stessi giornali tedeschi a salutare il suo arrivo, il primo novembre dello scorso anno, con un plauso generalizzato e affermazioni del genere: da Roma arriva un banchiere "piuttosto tedesco", addirittura "proprio prussiano".

Un atteggiamento vagamente schizofrenico che nasconde la paura dei tedeschi verso l'instabilità economica e l'inflazione (per ora in realtà sotto controllo a livello europeo) e il fastidio di dover pagare pasticci altrui (leggi i conti truccati in Grecia). In realtà il giudizio nei confronti di Draghi resta immutato nel governo di Berlino.

La stessa cancelliera Angela Merkel ha detto, al termine del vertice italo-tedesco tenutosi a Roma il 13 marzo, che Draghi ha fatto un buon lavoro. L'austera cancelliera, parecchio attratta dall'idea di stilare pagelle, ha promosso i due Mario (Monti e Draghi), spinta in cuor suo anche dal confronto con l'italiano del governo passato.

D'altronde, la mossa giocata dalla Bce non poteva essere diversa. La posizione di Draghi è nota: si era a un passo da un credit crunch catastrofico, il mercato interbancario non funzionava e quello obbligazionario era totalmente bloccato, mentre nel primo trimestre 2012 venivano a scadenza 230 miliardi di obbligazioni bancarie. E ancora: la massa monetaria M3 scendeva da tre mesi consecutivi.

Lo stesso Draghi ha ripetuto in più occasioni che le due operazioni di liquidità per un totale netto di 520 miliardi (non mille miliardi perché vanno tolti alcuni rimborsi di prestiti da parte delle banche) sono state un successo. E non gli si può dar torto a giudicare dall'andamento dei mercati negli ultimi due mesi. Le Borse sono frizzanti e viaggiano attorno ai massimi (vedi il grafico di quella italiana a pagina 138), il mercato interbancario si sta riprendendo e quello obbligazionario pure (nei primi due mesi 2012 si è registrato lo stesso numero di emissioni degli ultimi sei mesi 2011). Ai piani alti della Bce si fa in particolare notare che stanno tornando nell'eurozona anche gli operatori dei grossi fondi americani. Fiducia ritrovata nell'euro, dunque.

Le relazioni a tratti turbolente con i tedeschi non sembrano influenzare il presidente. Che va avanti per la sua strada. Dando un'impronta molto precisa. Un recente ritratto dell'agenzia Reuters, peraltro arricchito dagli aneddoti di chi gli sta attorno, racconta di uno stile di governo più collegiale e meno accentratore rispetto al predecessore. Meno presenzialismo.

"Perché devo andare a Davos?", avrebbe domandato allo staff che gli sottoponeva l'agenda di gennaio. Jean-Claude Trichet era solito stazionare in Svizzera per tutto il periodo del World economic forum. Lui, alla fine, è andato solo per un giorno. E poi più deleghe ai collaboratori e gestione sciolta. Prende decisioni dopo aver consultato gli altri per email. Anche su fatti importanti si scambia messaggi via Blackberry con il tedesco del consiglio direttivo Jorg Asmussen, già sottosegretario alle Finanze e considerato una "colomba". Non disdegna i weekend a Francoforte, girando con la moglie per mostre e musei, e una partita a golf.

La foto-ricordo che spicca nel suo studio al 35esimo piano è quella con Carlo Azeglio Ciampi e l'ex presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer, all'epoca della corsa italiana verso l'euro. Ma non manca lo scatto di Pittsburgh con Barack e Michelle Obama. E un altro ancora con il presidente Giorgio Napolitano. Draghi è soddisfatto e si vede. Ha ripetuto negli ultimi giorni l'orgoglio per le principali decisioni prese finora, il loro successo. Ha fatto notare che solo una volta non c'è stata unanimità in Consiglio, quando i tedeschi hanno votato contro il secondo ribasso dei tassi di interesse (oggi all'1 per cento).

La sortita più recente del duellante Weidmann è quella sulla cosiddetta exit strategy. In sostanza, come uscire dal percorso avviato non senza rischi e quindi "tirar su" la liquidità creata? Draghi conferma che occorre certamente elaborare una strategia, ma i tempi per la sua attuazione non sono immediati. Sarà forse questo il tormentone dei prossimi mesi, almeno da parte Bundesbank.

A preoccupare piuttosto il banchiere italiano è l'urgenza di interventi e riforme serie da parte dei paesi euro, perché "la Bce non si può sostituire ai governi nazionali", come ha ribadito a una recente conferenza a Parigi. La situazione in Grecia è "relativamente risolta", anche se resta molto elevata l'incognita sull'esito delle prossime elezioni. L'accordo europeo sul Fiscal compact, quello che chiede misure più stringenti sui conti pubblici, è stato un passo importante soprattutto dal punto di vista politico: viene sancita una cessione sia pur limitata di sovranità nazionale e può essere una prima tappa verso un'unione fiscale che si verificherà tra dieci o quindici anni.

I paesi hanno addirittura accettato di inserire nella Costituzione i vincoli di bilancio. Ma non basta. Il problema è ora stimolare la crescita nell'area euro. L'attività economica si sta stabilizzando su livelli bassi, il 2012 sarà lento, anche se sarà meno peggio del previsto. Il 2013 andrà meglio (vedi la tabella qui sotto), in un clima globale che si è fatto più ottimista a giudicare dall'ultima copertina dell'"Economist" ("Può esserci...una ripresa?!!"). In Italia le stime svelano in realtà una tendenza recessiva più marcata soprattutto per quest'anno.

Se è vero che le Borse anticipano i trend dell'economia reale, c'è da ben sperare. Non bisogna però illudersi e lavorare sulle riforme. Anzi, a giudizio di Draghi, dovrebbe esserci una disciplina collettiva e comunitaria per dare un maggiore contributo alla crescita europea, una comune governance ai fini di un controllo delle riforme avviate dai diversi paesi. In sostanza, la Commissione Ue dovrebbe non solo occuparsi dei bilanci pubblici, ma far anche rispettare le riforme via via annunciate dai paesi euro.

Un pilastro è il completamento del mercato unico europeo, realizzato sulla finanza ma che dovrebbe allargarsi ai prodotti e ai servizi. Draghi, a questo proposito, invita a leggere il rapporto che preparò Mario Monti pochi mesi prima di essere chiamato da Napolitano a Palazzo Chigi: sembra un programma di governo.

Nostalgie dell'Italia non se ne colgono. Da quando si è trasferito a Francoforte Draghi ha accuratamente evitato ogni commento o riferimento alla situazione politica ed economica italiana, come tradizione per un banchiere centrale europeo che non entra mai nel dettaglio delle politiche dei diversi paesi.

Ha assunto l'incarico due settimane prima di Monti (come premier) in una straordinaria congiunzione astrale che ha fatto svoltare l'immagine e la reputazione dell'Italia all'estero. Il termometro del radicale cambiamento è quello ormai un po' abusato del differenziale tra i Btp e i titoli di Stato tedeschi, lo spread di cui tutti parlano come fosse un parente in famiglia. E che è sceso sotto quota 300 punti (278 il 19 marzo). Scavalcando al ribasso lo spread tra gli stessi bund e i bonos spagnoli. L'indice Ftse Mib della Borsa milanese ha guadagnato dal primo novembre a oggi quasi il 15 per cento, ma il tedesco Dax quasi il 23 per cento (non dovrebbero dunque lamentarsi i tedeschi...).

Se il merito del piccolo sprint dei mercati in Italia vada a questo punto più attribuito a Monti, per la sua manovra economica e l'impegno sul piano Cresci-Italia, o a Draghi, per il fatto che ha allentato la morsa del credito consentendo peraltro alle banche dell'eurozona di acquistare titoli di Stato, è un dilemma che tocca agli economisti sciogliere. È comunque un derby spettacolare. E al quale è un piacere assistere.

 

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