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Leonardo Martinelli per “La Stampa”
Sovranista? Pure lui? Sembra impossibile che quel termine, imbarazzante e contraddittorio, temuto e ricorrente, esca anche dalla penna dell'economista francese Thomas Piketty, idolo di una certa gauche contemporanea.
E invece sì, avviene nel suo nuovo, attesissimo libro, dal titolo Une breve histoire de l'égalité, che esce a Parigi venerdì (e in Italia sarà pubblicato in autunno dalla Nave di Teseo, come il precedente, Capitale e ideologia). Con Piketty, però, il sovranismo diventa «universalista»: rappresenta la capacità di ogni Paese d'imporre nuovi obiettivi d'eguaglianza, senza perdersi nei meandri dell'unanimità del multilateralismo.
Altra espressione chiave del saggio: una nuova forma, alternativa, di socialismo che l'Europa deve proporre al mondo. Dovrà essere «democratico, partecipativo, ecologico e meticcio». Una profonda aspirazione per questo studioso militante. «Il movimento verso l'eguaglianza sociale, economica e politica», ha spiegato Piketty all'Agence France Presse, «è una tendenza sul lungo termine e non è pronta a fermarsi.
THOMAS PIKETTY - UNE BREVE HISTOIRE DE L'EGALITE
Iniziò con la Rivoluzione francese e la rivolta degli schiavi a Santo Domingo, che segnarono l'inizio della fine delle società dei privilegi e di quelle schiaviste e coloniali. Il cammino verso l'eguaglianza è stato sempre alimentato dalle rivolte contro l'ingiustizia, all'interno dei Paesi e a livello internazionale. E sarà così anche in futuro».
Anzi, l'economista vede in questa fase post Covid, che accentua i divari, l'occasione per rilanciare il processo. La falsa promessa di Reagan Come? «Da qualche decennio», continua, «si è inventato un diritto sacrosanto a fare fortuna utilizzando le infrastrutture pubbliche di un Paese, il suo sistema sanitario e educativo e altro. E poi a trasferire i propri asset sotto un'altra giurisdizione, lasciando la fattura da pagare al resto della popolazione».
Qualcuno la chiama ottimizzazione fiscale. Ecco, Piketty distrugge anche un altro concetto dei bei tempi del liberismo indefesso: la libera circolazione dei capitali, «almeno quando avviene senza una contropartita fiscale o sociale. E non si può aspettare di fare l'unanimità per arginarla: ogni Paese deve uscire unilateralmente da questo sistema, proponendo agli altri degli obiettivi espliciti e quantificati di giustizia fiscale e sociale e la creazione di assemblee transnazionali per centrare questi target». È quello che Piketty chiama sovranismo universalista.
L'obiettivo di un'aliquota fiscale minima del 15% per le multinazionali, stabilito nel G7? Ecco un'occasione per metterlo in pratica. «Se si resta al 15%», ha spiegato al settimanale L'Obs, «si tratterà di un'autorizzazione a frodare il fisco per gli attori più potenti. Mentre per le piccole e medie imprese e il ceto medio sarà impossibile delocalizzare i profitti o i redditi in un paradiso fiscale.
L'unica soluzione è che ogni Paese decida in maniera unilaterale di aumentare questa aliquota minima. Se la Francia la portasse al 25%, le entrate fiscali per quest' imposta passerebbero da quattro a 28 miliardi di euro. Che vuol dire tanti più infermieri, professori, infrastrutture supplementari per i cittadini».
E, secondo Piketty, una decisione unilaterale farebbe da traino per gli altri Stati. Ma l'idea che le ineguaglianze fossero necessarie per accrescere la produttività e, quindi, la crescita? «La promessa reaganiana che per renderla dinamica si dovesse passare attraverso la riduzione della fiscalità dei più ricchi non ha funzionato. Negli Stati Uniti le aliquote fiscali più alte erano in media dell'80% dal 1930 al 1980, prima di essere portate al 30%». Ma, ha aggiunto Piketty all'Obs, «nel frattempo anche la crescita del reddito nazionale pro capite è stata divisa per due, passando dal 2,2% tra il 1930 e il 1980 ad appena l'1,1% tra il 1990 e il 2020».
DISUGUAGLIANZA DI RICCHEZZA IN EUROPA - ALFANI VS PIKETTY
Insomma, per lui non solo una fiscalità fortemente progressiva non impediva la crescita, ma addirittura la favoriva, perché «storicamente è la lotta per l'eguaglianza che ha consentito la prosperità, grazie a un accesso più amplio all'educazione e al sapere. Sono fatti storici». Un testo militante In parallelo l'Europa deve ritornare propositiva a livello del sistema democratico, soprattutto in antitesi con la Cina. È l'obiettivo di Piketty, un nuovo socialismo democratico e partecipativo.
«Quando si dice: "Non esiste un'alternativa al capitalismo", è un'assurdità. Come se ne esistesse solo un tipo Basta guardare alla differenza che intercorreva tra il capitalismo coloniale e autoritario del 1910 e la socialdemocrazia degli anni Ottanta. Non saremo sempre prigionieri dello stesso sistema».
Ragiona sul lungo periodo, per arrivare a imporre questo nuovo modello di democrazia. Si aspetterà forse, dice, il 2050. Piketty presenta il suo nuovo saggio come un testo militante. «È un libro di storia e di scienze sociali, ma anche di mobilitazione cittadina», spiega all'Afp. «Le questioni economiche sono troppo importanti per essere lasciate a un piccolo gruppo di specialisti e dirigenti. Per trasformare le relazioni del potere bisogna che i cittadini si riapproprino di questo sapere, è una tappa essenziale».
PIKETTY ALLA BOCCONI CON DIETRO MARXTHOMAS PIKETTY ALLA BOCCONITHOMAS PIKETTY ALLA BOCCONI AULA MAGNA PIENATHOMAS PIKETTYTHOMAS PIKETTYLA FILA FUORI PER SENTIRE PIKETTY ALLA BOCCONITHOMAS PIKETTYThomas Piketty
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