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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
Dagoreport
Tutti renziani. O quasi. La riforma delle banche popolari non ha più nemici. O, meglio, quelli che nei mesi scorsi si sono battuti contro il decreto del governo Renzi ora hanno fatto un clamoroso passo indietro. E adesso il premier può contare su una sponda di peso anche alla Bocconi di Milano.
Uno di quelli che sembra aver cambiato idea è Andrea Resti: bocconiano doc - e da sempre sostenitore del modello di banca cooperativa - si è astenuto all'assemblea di Ubibanca chiamata a votare la trasformazione in società per azioni. Ma perché il professore bresciano con simpatie bergamasche, in passato capace addirittura di contrapporsi al grande vecchio della finanza, Abramo Bazoli, stavolta ha rinunciato alla sua linea dura?
Nella gran confusione alla Fiera di Brescia, sabato scorso, l'atteggiamento di Resti, 50 anni e barba staliniana, è passato inizialmente in sordina. Mentre fra gli addetti ai lavori, come Dagospia ha appreso nella sua infinita miseria, quel “non voto” è stato passato al setaccio. In ambienti bancari si guarda al 2016 e al gran ballo delle poltrone ai piani alti degli istituti di credito, a cominciare dal colosso IntesaSanpaolo, ma non solo.
Fatto sta che sabato mattina, nella sala, tutti i soci Ubi si aspettavano un intervento al fulmicotone, un attacco ad alzo zero contro il provvedimento di palazzo Chigi che a febbraio ha imposto a 10 banche popolari, quelle con attivi superiori a 8 miliardi di euro, il passaggio alla “spa”.
Il cambio di linea del docente universitario è nei fatti: nel 2013 presentò una lista indipendente battezzata con un nome che non lasciava spazio a dubbi: Ubi, Banca Popolare. Non solo. In quel periodo Resti andava in giro sostenendo di essere “per la difesa della cooperativa con i fatti, non con le belle parole” e mettendo sul tavolo “serie preoccupazioni sul rischio che una volta trasformato in spa il gruppo Ubi potesse finire in balia di speculatori o potentati economici”.
Così, ora, in difesa della cooperativa sono rimasti in pochi, come Piero Lonardi, capolista in Bpm e firmatario del ricorso al Tar Lazio contro la trasformazione in spa, persino lui, c’ha messo la faccia, esponendo in maniera chiara ai soci la sua posizione. Tutti i sindacalisti presenti e anche i rappresentanti della lista Jannone, tutti, c'hanno messo la faccia, criticando il provvedimento.
Tutti tranne Resti. Eppure, solo pochi mesi fa, il prof. della Bocconi aveva ribadito tutti i suoi timori: “Nelle spa c'è il rischio che un piccolo nocciolo di soci possa ottenere l'approvazione in assemblea di un progetto non metabolizzato e e non analizzato in tutti i suoi rischi”. Quando presentò la sua lista, lo votarono 4.500 soci. I quali ora chiederanno al professore universitario, anche formalmente: perché si è astenuto? Ah saperlo ...
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