DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Fabio Bogo “Affari e Finanza - La Repubblica”
Se non è solo pretattica, Bernardo Caprotti tra breve venderà la sua creatura Esselunga, la catena di supermercati che fece scoprire all' Italia del secondo dopoguerra il mondo fino ad allora sconosciuto degli scaffali traboccanti di prodotti.
Caprotti creò Esselunga nel 1957 e l' intuizione fu fortunata: oggi la società ha 152 superstore e supermarket con 22mila dipendenti, fattura quasi otto miliardi di euro e nel 2015 ha visto il suo utile netto raggiungere 290 milioni di euro.
Insomma, un' impresa di successo, destinata forse ad uscire dal perimetro delle aziende tricolori. Perché se la successione non è guidata dall' affetto (ed è poco quello che lega Bernardo Caprotti ai figli) ma dal denaro, allora ne servirà molto. E non sono tanti quelli che possono pensare di rilevare Esselunga.
Escluse Coop e Conad, bandite per ragioni ideologiche, rimangono solo i grandi fondi internazionali e pochi competitor di settore, tutti stranieri. Le indiscrezioni dei giorni scorsi hanno parlato degli americani di Walmart, che potrebbero riprovare lo sbarco in Italia abbozzato qualche anno fa. Si è fatto il nome di Auchan, azienda transalpina solida e già ben posizionata sul mercato interno. E poi di altri francesi leader nella grande distribuzione, come quella Carrefour che il presidente François Mitterrand definiva "ambasciatore del made in France nel mondo".
Il made in France potrebbe insomma mangiare il made in Italy, aumentando il numero delle imprese della grande distribuzione passate sotto controllo straniero.
La Gs è saldamente mano a Carrefour; la Standa - una volta "la casa degli italiani" - è emigrata in Austria da Billa, che a sua volta è in mano alla tedesca Rewe. Gestire una catena di supermercati non è un' impresa di cui tutti siano capaci.
Ma essendo Esselunga una gallina dalle uova d' oro (è considerata la terza impresa al mondo per redditività, frutta 16mila euro al metro quadro contro i 9mila della Coop) stupisce che non si sia affacciato neppure l' embrione di idea di una cordata di imprenditori nostrani a difesa di un campione nazionale sano, e non decotto come fu Alitalia anni fa.
Il rischio evidentemente non piace, e la grande distribuzione, pur essendo strategica per la filiera del made in Italy, è considerata attività poco dignitosa. E allora sembrano un vano appello le parole del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che nel discorso del suo insediamento 5 mesi fa disse: per battere la crisi "serve un capitalismo moderno, fatto di mercati, di apertura ai capitali, di investimento nell' industria del futuro". Quel capitalismo forse non abita più qui.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
FLASH! - RUMORS ALLA FIAMMA (GIALLA): IL COMANDANTE GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, ANDREA DE…
DAGOREPORT – VINCENZO DE LUCA NON FA AMMUINA: IL GOVERNATORE DELLA CAMPANIA VA AVANTI NELLA SUA…
DAGOREPORT – LA SOLITA OPPOSIZIONE ALLE VONGOLE: SUL CASO ALMASRI SCHLEIN E CONTE E RENZI HANNO…
URSULA VON DER LEYEN, CALZATO L'ELMETTO, HA PRESO PER LA COLLOTTOLA GIORGIA MELONI - A MARGINE DEL…