NON C’È CRISI PER SANT’INTESA - PASSERA ANNUNCIA ANCHE PER QUEST’ANNO RICCHI DIVIDENDI AGLI AZIONISTI E PREMI AI MANAGER - IN TOTALE OLTRE 1,3 MLN €, E CHISSENEFREGA DEL CONSIGLIO DI BANKITALIA DI METTERE FIENO IN CASCINA ANZICHÉ DISTRIBUIRE AI SOCI UNA RICCHEZZA SOLO APPARENTE - I BANCHIERI ITALIANI ATTACCANO L’EUROPA: TRANNE INTESA DOVRANNO TUTTI RICAPITALIZZARE PER 14,7 MLD €…

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1- DIVIDENDI E PREMI AI MANAGER PER BANCA INTESA LA CRISI NON C'È
Giorgio Meletti per "il Fatto Quotidiano"

La crisi colpisce duro dappertutto, ma non tocca la prima banca italiana, Intesa Sanpaolo. Dove tutto va bene, tanto da consentire all'amministratore delegato Corrado Passera di annunciare con largo anticipo che anche quest'anno per gli azionisti ci sarà un ricco dividendo: 8 centesimi di euro per ogni azione, come l'anno scorso. Visto che ieri il titolo di Intesa Sanpaolo ha chiuso in Borsa a 1,15 euro, il dividendo garantisce un rendimento del 7 per cento. Niente male, per un'azienda che ha deciso di sostenere la sua redditività con un vantaggioso accordo sindacale che le permetterà, nei prossimi mesi, di cancellare 5 mila posti di lavoro.

Stappano spumante i grandi azionisti della banca, le Fondazioni. La Compagnia di San Paolo, primo socio con il 9,7 per cento, si prepara a incassare la prossima primavera circa 120 milioni di euro. In tutto la banca staccherà un assegno di oltre 1,3 miliardi di euro circa metà degli utili previsti nel 2011), lasciando inascoltato il monito della Banca d'Italia che da tempo chiede agli istituti di credito di destinare "gran parte dei profitti ad accrescere la dotazione patrimoniale", cioè a mettere fieno in cascina anziché distribuire ai soci una ricchezza solo apparente.

Intesa San Paolo, sicuramente una delle banche italiane messe meglio, visto che è l'unica tra le grandi a non dover chiedere nuovo capitale ai soci, ha chiuso i conti dei primi nove mesi con gli utili in calo, esattamente del 5,6 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2010.

Ma anche l'anno scorso, ignorando le sollecitazioni dell'allora governatore Mario Draghi, ha distribuito il dividendo di 8 centesimi per azione a conclusione di un anno con i profitti in calo del 3,6 per cento. Poi ha dovuto chiedere agli stessi azionisti 5 miliardi di euro di aumento di capitale, perché le cose evidentemente non andavano così bene.

Anche i conti dei primi nove mesi qualche interrogativo lo suscitano. I crediti incagliati o in sofferenza, cioè i prestiti alla clientela che non si riescono a far tornare indietro, sono cresciuti di circa 10 miliardi di euro. Gli interessi netti incassati dalla Banca dei Territori (la divisione che lavora sulle famiglie e la cosiddetta economia reale) sono cresciuti del 10 per cento a fronte di prestiti aumentati dell'1,2 per cento.

La banca dunque si fa pagare di più il denaro e guadagna di più, ciononostante il risultato netto della divisione sul territorio arretra nei primi nove mesi del 2011 del 38 per cento rispetto all'anno precedente.

Insieme al sacro dividendo, l'altra variabile indipendente nelle strategie di Intesa San-paolo sono stipendi e premi ai manager. Nel 2010, che ha visto l'utile in calo del 3,6 per cento e il valore del titolo in Borsa perdere il 34 per cento, l'amministratore delegato Passera ha incassato 3 milioni 811 mila euro, di cui 1,5 milioni di bonus: 10 mila euro al giorno, domeniche comprese. Il direttore generale Gaetano Miccichè ha intascato 2 milioni 445 mila euro, metà dei quali come premio di risultato.

L'altro direttore generale, Marco Morelli, ha guadagnato 2 milioni 46 mila euro, meta dei quali come premio di risultato. Con gli utili in calo e il valore del titolo a precipizio anche nel 2011, i bonus di quest'anno sono al sicuro. Lo decideranno i 28 membri dei due consigli, di gestione e di sorveglianza, pagati 150 mila euro l'anno a testa, pari a oltre 10 mila euro a riunione , visto che il consiglio di sorveglianza nel 2010 è stato convocato 14 volte.

Insomma, la crisi morde, soprattutto per i 5 mila dipendenti che stanno avviandosi all'uscita, ma non per azionisti e manager: per loro la parola sacrifici non vale.

2 - ATTACCANO L'EUROPA PERCHÉ NON SANNO COME FARE PROFITTI
Vittorio Malagutti per "il Fatto Quotidiano"

"Aiuto, l'Europa ci attacca", protestano i banchieri italiani. "Le autorità di Bruxelles cambiano le regole del gioco per favorire francesi e tedeschi", si lamentano i supermanager del credito. E forse, per una volta, non hanno neppure tutti i torti. Entro giugno 2012 i maggiori istituti del nostro Paese (salvo Intesa) dovranno rafforzare il patrimonio per un totale di 14,7 miliardi.

E siccome con l'aria che tira in Borsa non è proprio facile trovare investitori disposti ad aprire il portafoglio, grandi banche come Unicredit, Monte dei Paschi, Ubi e Banco Popolare stanno cercando di trovare strade alternative per riuscire a chiedere meno soldi possibile al mercato.

Questa però è solo una parte del problema. Per i banchieri italiani è allarme rosso anche sul fronte del conto economico. In parole povere, se va avanti così, con gli spread fuori controlli e i rendimenti dei titoli di stato che galoppano verso record impensabili solo pochi mesi fa, gli istituti di credito grandi e piccoli rischiano di veder diminuire, e di molto, gli utili. Questione di funding, spiegano gli analisti. In breve, succede questo.

La tempesta dell'area euro ha provocato un aumento degli interessi che le banche sono costrette a pagare per finanziarsi sul mercato. In parte perchè in tempi di crisi gli istituti si fidano sempre meno l'uno dell'altro e così tendono a chiudere il rubinetto dei prestiti. Da mesi, per dire, i fondi monetari Usa hanno azzerato i finanziamenti alle controparti europee.

Per le banche italiane il problema è meno grave, ma non di molto, perchè si affidano in misura maggiori rispetto ai concorrenti stranieri alla cosiddetta raccolta al dettaglio. Ovvero i depositi della clientela, anche sotto forma di obbligazioni. Magra soddisfazione, visto che tra la fine del 2010 e il mese di settembre il costo della raccolta al dettaglio è aumentato di 4 decimi di punto percentuale toccando l'1,7 per cento. In ottobre e in novembre, anche se non ci sono dati ufficiali, tutto lascia pensare che la tendenza all'aumento sia proseguita. Quanto alle obbligazioni la questione è risolta.

Nel senso che gli istituti hanno smesso da mesi di proporle alla propria clientela: costa troppo offrire ai sottoscrittori un rendimento concorrenziale a quello dei titoli di stato. Per far fronte a una situazione sempre più complicata le banche stanno facendo un ricorso massiccio ai finanziamenti della Bce.

Il problema resta, però. E, infatti, come scrive l'ufficio studi di Banca d'Italia, "la difficoltà di reperire adeguati volumi di raccolta a medio e a lungo termine rappresenta la principale fonte di rischio" per i prossimi mesi. Morale della storia: per raccogliere fondi freschi su un mercato dove la liquidità scarseggia, le banche sono costrette a pagare un conto sempre più salato. In parte questi maggiori costi vengono scaricati su aziende e famiglie a cui sono richiesti interessi più alti sui prestiti.

Nel medio lungo termine però, prevede la Banca d'Italia, il margine di guadagno (differenza tra costi di raccolta e rendimenti degli impieghi) tenderà a diminuire. Meno profitti per i banchieri, quindi. Anche perchè, se l'economia finisce un'altra volta in recessione, crescerà il numero delle aziende che non riescono a restituire i finanziamenti. Quindi gli istituti dovranno aumentare gli accantonamenti a conto economico per far fronte a queste nuove sofferenze. Non è ancora finita.

Se i mercati non si dovessero risollevare è più che probabile che diminuirà anche la propensione degli investitori a comprare prodotti finanziari. Di conseguenza caleranno anche le commissioni incassate dagli istituti. Facile prevedere, allora, che i banchieri dovranno fare i salti mortali. E questa volta per difendersi non potranno neppure gridare al complotto dei poteri forti di Bruxelles.

 

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