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Sara Bennewitz per “la Repubblica”
luigi abete diego della valle alessandro profumo andrea della valle
Tod’s compra dai suoi proprietari, vale a dire Diego e Andrea Della Valle, il marchio Roger Vivier di cui dal 2001 cura produzione e distribuzione. E subito in Piazza Affari si apre una dialettica tra chi sostiene che l’acquisizione possa creare valore e chi invece pensa che il prezzo pagato, ovvero 415 milioni, sia anch’esso di lusso.
DIEGO DELLA VALLE E FRATELLO ANDREA
Gli analisti su questo punto sono divisi: Fidentis dice che Tod’s «ha strapagato», per Intermonte il prezzo è «generoso», per Deutsche Bank «amichevole» e per Exane è «in linea con il mercato».
Citigroup, che ora è tra gli advisor dell’operazione, ad agosto valutava Vivier 300 milioni, Morgan Stanley si spingeva invece fino a un massimo di 350-400 milioni.
Insomma le visioni sono discordanti ma tra commenti amari e giudizi positivi il titolo (+0,4%) si è mosso il linea con il mercato. Gli analisti divisi sul prezzo, sono però concordi nel dire che l’acquisizione elimina l’incertezza che Tod’s potesse perdere la licenza di Vivier, che è il marchio più di alta gamma e con i tassi di crescita maggiori del gruppo marchigiano.
diego della valle sale in barca
Inoltre pagando metà per cassa e metà in azioni, i soci di minoranza sono diluiti del 7,5% nel capitale, ma solo del 3% a livello di utile per azione. Il fatto è che per valutare un asset intaNgibile come un marchio, i metodi sono molteplici: non c’è un metodo buono e uno cattivo e il risultato cambia a seconda dei gusti dell’interlocutore.
La famiglia Della Valle, di certo, ha usato tutte le cautele del caso; essendo un’operazione tra parti correlate ha lasciato decidere i consiglieri indipendenti, ha chiesto tre perizie diverse e ha rimesso il giudizio finale al mercato, che con il whitewash dovrà approvare l’operazione a maggioranza dei presenti in assemblea escludendo i soci di maggioranza.
Resta che nel 2000, quando Tod’s fu collocata in Borsa, i Della Valle utilizzarono i proventi dell’Ipo per comprare da se stessi i marchi Hogan e Fay spendendo 155 milioni. Allora quelle griffe che crescevano del 30% all’anno vennero valutate tra 1,2 e 1,5 volte i ricavi attesi al 2001, la metà del multiplo adottato oggi per le vendite 2016 del marchio francese.
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