
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
Alessandro Penati per "la Repubblica"
Ieri, manager riverito e salvatore della patria; oggi, quasi un ciarlatano, che pensa solo ad arricchirsi con le stock options. Sembra il trattamento che i più beceri dei tifosi riservano all´allenatore della squadra del cuore. D´altra parte, in Italia tendiamo a discutere di imprese con la stessa partigianeria del calcio, e a personalizzare tutto. Ma la colpa è anche di Marchionne, che ha ceduto all´irrefrenabile protagonismo di tanti nostri imprenditori, manager e banchieri, che si fanno predicatori per indicare al Paese la via delle riforme e del progresso. La realtà è un po´ diversa.
Anni addietro ho definito Marchionne un abile gestore di un fondo di private equity: in Italia, un insulto; non per me. Volevo dire che Marchionne ha grandi capacità nel ristrutturare aziende, perché sa prendere rapidamente decisioni rischiose, con l´obiettivo di far guadagnare gli azionisti; come d´altronde gli chiede Exor, suo azionista di controllo. Così, come il private equity, il titolo Fiat sarebbe stato un investimento ad alto rischio e rendimento. E così è stato: da quando Marchionne è al vertice, la capitalizzazione di Fiat (con Fiat Industrial) è più che raddoppiata, contro il +30% dell´indice mondiale del settore, e il +70% di quello europeo; molto meglio di Peugeot e Renault, che hanno perso in media il 60%, o delle giapponesi (-30%). Solo Volkswagen ha saputo fare di meglio. Anche la volatilità di Fiat è stata doppia rispetto al settore.
Le critiche a Marchionne (non sforna nuovi modelli competitivi, specie nei segmenti ad alti margini; è inesistente in Cina) sono corrette, ma fuori luogo. Sei anni fa Fiat era sull´orlo del fallimento: ristrutturare il debito era l´unica cosa che si doveva e poteva fare. Ma, superata l´emergenza finanziaria, le prospettive di Fiat rimanevano incerte: sottodimensionata; margini inferiori alla concorrenza; tanta capacità inutilizzata in Italia e produttività insufficiente; una cattiva reputazione; troppo concentrata in Europa, a bassa crescita. Il tutto aggravato dalla violenta recessione del 2008. Il problema era come riuscire a generare subito liquidità con la gestione ordinaria, per sopravvivere.
Marchionne ha deciso di puntare sull´auto, scindendo Fiat Industrial, per cogliere l´occasione del fallimento Chrysler (non avendo un euro in tasca) e scommettere sulla ripresa americana e sul Brasile. I fatti, per ora, gli hanno dato ragione: gli Usa crescono mentre l´Eurozona flirta con la recessione; e il mercato delle auto in Brasile ha superato quello tedesco, e quasi raggiunto quello giapponese. Fiat, con Chrysler, ha portato il margine di gestione al 4,8% del fatturato: non eccelso ma meglio del 2,5% medio di Peugeot e Renault; e nei primi nove mesi la gestione ordinaria ha prodotto liquidità per oltre 2 miliardi. Non fosse stato per Chrysler e Brasile, Fiat sarebbe oggi nuovamente nei guai.
Per questo le polemiche su Fabbrica Italia appaiono pretestuose. Il piano di inizio 2010 era chiarissimo. In Italia c´è un grande eccesso di capacità produttiva: o la si tagliava, o si puntava sulla ripresa per far lavorare gli impianti non stop (con nuovi contratti di lavoro) e abbattere i costi fissi. Ma poco dopo è arrivata la crisi greca, e ora si teme la recessione nel 2012: pretendere oggi, di fronte al crollo della domanda e alla capacità in eccesso, che una Fiat ancora a metà del guado risolva il problema rapidamente con nuovi modelli di successo è come chiedere a Nokia di inventarsi per Natale un telefono che soppianti l´iPhone.
A dirsi, facile. Pretestuoso, quindi, anche il quesito di Consob: con Vegas, sembra che gli interessi della politica nazionale contino più di quelli del mercato.
Per crescere, Fiat dovrà aumentare i margini, competere con nuove auto nella fascia alta e sbarcare in Asia: ma ci vuole almeno un decennio per costruire la reputazione di un marchio o conquistare un nuovo mercato. Marchionne dovrà dimostrare di saperlo fare. Ma oggi, il problema, è uscire stabilmente dal guado.
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