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Da "la Repubblica"
Molti ricordano ancor oggi quel laboratorio fondamentale della mutazione televisiva d'Italia che è stata, a cavallo tra anni â80 e â90, la Rai3 diretta da Angelo Guglielmi. E probabilmente Guglielmi, classe 1929, critico letterario e tra i fondatori del gruppo 63, verrà ricordato soprattutto per quello. Ma nel suo nuovo libro, Cinema, televisione, cinema. L'ultima volta dell'Istituto Luce, racconta con orgoglio il proprio incarico successivo, come presidente dell'Istituto Luce.
La seconda metà del volume è fitta di bilanci, organigrammi, elenco di sale e di film, elenco delle attività svolte anno per anno. La digitalizzazione dell'archivio, l'elenco dei film prodotti e distribuiti e varie vicende piccole e grandi vengono ripercorsi puntigliosamente, a voler rivendicare un lavoro meno appariscente di quello televisivo, ma comunque importante.
Entrato alla rai nel â55, Guglielmi aveva promosso già tra anni â60 e â70 varie produzioni innovative e marginali (il Francesco d'Assisi e il Galileo di Liliana Cavani, le Storie dell'anno mille di Franco Indovina). Ma è indubbiamente nel decennio a Rai3 (1986-1995) che Guglielmi ha lasciato il segno. In quegli anni Guglielmi è tra i maggiori inventori di tv in Italia, più vicino magari ad Antonio Ricci o a Carlo Freccero che ai vecchi dirigenti come Paolo Valmarana o Angelo Romanò.
Il simbolo di questa doppia anima è il suo racconto dell'arrivo a Rai1 nel â75 come assistente del direttore: le sue due prime iniziative saranno Bontà loro di Maurizio Costanzo e Il gabbiano di Marco Bellocchio da Cechov. L'essere "di sinistra" della Rai3 di Guglielmi oggi in effetti appare secondario rispetto al tentativo di cavalcare un mutamento, sposandolo e tentando (ancora per poco) di munirsi di qualche anticorpo. Sono i primi anni di Un giorno in pretura, Chi l'ha visto?, Blob, Fuori orario, Quelli che il calcio, Avanzi,
di Giuliano Ferrara, Michele Santoro o Piero Chiambretti.
A riguardarla, quella esperienza sembra aver insegnato molto in termini di spregiudicatezza e abilità di giocare con un mezzo visto non solo come contenitore, mentre appare lontanissima, ad esempio, il versante signorile e volutamente demodé di Andrea Barbato o delle annunciatrici in bianco e nero. Per non parlare della punta più autenticamente sovversiva della rete, la folgorante meteora di Cinico Tv, che ci sembra appartenere a un mondo irripetibile. Rai3, nonostante tutto, torna di nuovo, in più punti, anche in questo libro.
Ma è come se nel Guglielmi memorialista permanesse l'anima del funzionario vecchio stampo, dell'era Bernabei, mentre poi nei fatti la sua tv è stata, soprattutto, l'alba della neo-televisione, nell'uso della satira, del talk show e dell'infotainment, nell'approccio alla società alla politica.
Più che come teorico delle differenze tra cinema e letteratura o televisione, il libro di Guglielmi è interessante quando racconta dal di dentro fatti e snodi importanti visti dal di dentro, alla Rai o all'Istituto Luce. Come lo scambio di lettere con il produttore Goffredo Lombardo, o il racconto della sfortunata esperienza de "Il grande cinema", che nel 1998-2000 portò in sala un'ottantina di film classici in copie nuove.
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