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Come previsto Apple ha perso l'appello nella causa che la vedeva accusata di aver fatto cartello per i prezzi degli ebook. La corte d'appello ha così confermato il parere del giudice, secondo il quale Apple ha violato le leggi antitrust federali.
Nel dettaglio, il nuovo giudice Debra Ann Livingston ha spiegato che con questo stratagemma Apple avrebbe ottenuto vita facile per aprire il suo «Bookstore» online, assicurandosi dei prezzi molto interessanti per gli ebook da parte degli editori, che a loro volto, hanno già pagato per l'inconveniente 166 milioni di euro.
Ma il vero colpevole è Apple che, ancora ai tempi di Steve Jobs, aveva trattato con diverse case editrici accordi sottobanco a scapito della concorrenza. Durante lo sviluppo del suo famoso tablet l'iPad, Apple avrebbe infatti contattato gli editori per stringere accordi sulle licenze dei libri elettronici che poi sarebbero sfociati nell'iBookstore. Parte dell'accordo era di riservare agli editori il 30% di commissione su ogni transazione, ma soprattutto l'impegno da parte loro di non offrire a terzi dei prezzi inferiori rispetto a quelli praticati per Apple.
Un sistema certamente non fair che ha provocato le ire dei concorrenti. I quali non hanno esitato a far ricorso all'Antitrust Usa. Il quale non ha potuto fare a meno di dargli ragione. Il risultato è che Apple pagherà 450 milioni di dollari per terminare la causa. Secondo qualcuno però le è andata bene visto che la richiesta iniziale, prima del patteggiamento era di 840 milioni. In ogni caso l'azienda di Cupertino è nel mirino dell'Ue per il suo servizio di musica in streaming.
La Commissione avrebbe inviato alle case discografiche dei questionari per cercare di capire il tipo di accordo stipulato con la Apple. Una richiesta che,come per i libri, preannuncia una indagine approfondita a seguito di una serie di denunce che le sono arrivate.
La paura è che la Apple, che ha acquistato Beats per 3 miliardi di dollari, possa comportarsi in maniera scorretta nei confronti dei suoi concorrenti per convincere le etichette ad abbandonare servizi rivali come Spotify. Si vuole dunque evitare un caso simile a quello degli e-book, dove i sospetti sono stati confermati.
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