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Mauro Favale per la Repubblica
Semplice rivalità sportiva e non antisemitismo. Intonare il coro «Giallorosso ebreo», nei confronti della tifoseria romanista, non è reato. Almeno secondo il gip di Roma Ezio Damizia, che ha prosciolto due ultrà della Lazio responsabili di aver incitato la curva a ritmare quella frase il 30 marzo 2013 all’Olimpico, durante la gara dei biancocelesti contro il Catania, «tra le 15.38 e le 15.39» (come segnalato dalle telecamere che li hanno ripresi).
Le motivazioni della sentenza, pronunciata lo scorso 15 dicembre, hanno sollevato le proteste della comunità ebraica della capitale. «Si tratta indubbiamente — scrive la presidente Ruth Dureghello — di un precedente allarmante per la giustizia di questo Paese che legittima l’utilizzo dell’aggettivo “ebreo” in forma dispregiativa e razzista e comunque come strumento di derisione durante gli eventi sportivi».
RUTH DUREGHELLO CON IL RABBINO CAPO RICCARDO DI SEGNI
La presa di posizione è contenuta in una lettera che Dureghello ha inviato ieri al vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e al ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha immediatamente avviato sul caso accertamenti preliminari. Nel frattempo resta la polemica innescata dopo le motivazioni del gip che ha assolto i due ultrà laziali Alessando Pasquazzi e Fabrizio Pomponi «perché il fatto non sussiste» e perché «l’espressione “giallorosso ebreo” ha la finalità di deridere la squadra avversaria ed è ricollegabile allo storico antagonismo» tra le due tifoserie della capitale. Che, negli anni, non si sono risparmiate insulti a sfondo antisemita.
Nel 2001, durante il derby di ritorno, nella curva biancoceleste fu esposto lo striscione contro la Roma che recitava «Squadra de negri, curva d’ebrei». E prima, ancora una volta durante un derby, quello del 1998, un’altra scritta, sempre a caratteri cubitali e sempre nella curva Nord, quella dei laziali: «Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case».
Dall’altra parte si ricorda lo striscione «Lazio, Livorno, stessa iniziale, stesso forno», durante un Roma-Livorno del 2006. O gli accostamenti che in passato sono stati compiuti con Anna Frank, una volta con indosso la maglia giallorossa (in una figurina di dubbio gusto) e un’altra, «tifosa della Lazio», in varie scritte sui muri di Testaccio.
Ora, con il doppio derby di Coppa Italia alle porte, la sentenza potrebbe essere letta come un via libera a espressioni antisemite. D’altra parte, si legge nella sentenza, il coro «aldilà della scurrilità, esprime mera derisione sportiva». E non solo: «Sebbene l’accostamento giallorosso con ebreo — scrive il gip — possa aver assunto nelle intenzioni del pronunciante valenza denigratoria, ricollegabile latamente a concetti di razza, etnia o religione, le modalità di esternazione non costituiscono alcun concreto pericolo di diffusione di un’idea di odio razziale e di superiorità tecnica».
All’epoca, come ricorda il comunicato ufficiale della Lega di Serie A relativo a quella giornata di campionato del 2013, il giudice sportivo aveva deliberato di non comminare alcuna sanzione nei confronti della Lazio «considerato che la maggioranza degli altri sostenitori ha immediatamente e chiaramente manifestato la propria dissociazione da tale biasimevole comportamento ». Ora, a distanza di quasi 4 anni, si aggiunge la sentenza del tribunale (oggetto dell’ispezione ordinata dal Guardasigilli) che la comunità ebraica definisce «di devastante portata».
SCRITTE ANTISEMITE SUI MURI DI ROMA
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