DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
Emilia Costantini per il ''Corriere della Sera''
Roma Montecarlo, anni Cinquanta: Claire, una vedova ancora giovane, nota nella sala da gioco le mani frenetiche e disperate di un uomo, poco più che un ragazzo, che punta tutto e tutto perde alla roulette. Quella notte lo salva dal suicidio, cerca con ogni mezzo di convincerlo a rinunciare al demone del gioco e poi, suo malgrado, se ne innamora.
ventiquattro ore della vita di una donna
Ma Claire, nonostante i suoi sforzi, non riuscirà a salvarlo anche in seguito.
Ventiquattro ore della vita di una donna si intitola lo spettacolo tratto da una novella di Stefan Zweig, in scena al Teatro di Documenti dall' 8 maggio, regia di Rosario Tronnolone. Protagonista Evelina Nazzari, con il giovane Arcangelo Zagaria nel ruolo di Mateusz. «Una vicenda dolorosa, che ha molto a che fare con la mia storia privata - esordisce l' attrice -. Anche io, anni fa, tentai di salvare un ragazzo problematico dal suicidio, senza riuscirvi: si chiamava Leonardo, aveva 26 anni, era mio figlio».
Possono bastare ventiquattro ore per sconvolgere una vita e decidere di mettere a rischio tutto. «Recitare questo testo è, per me, un fatto catartico, certo non è una banale esorcizzazione del dolore, quello rimane tutto, è perenne, ma ci sono tanti modi per affrontarlo e io, impersonando Claire, cerco di buttarlo fuori da me: una sorta di terapia che ho attuato anche in passato pubblicando Dopo la fine, uno sfogo dell'anima.
Nella novella dello scrittore austriaco - continua Evelina - ho ritrovato momenti della mia vita. Persino alcune frasi mi risuonano dentro: le avrei potute dire, e forse le ho dette.
Questa è la magia concessa a noi attori: poter rivivere in scena sentimenti immaginati da altri, mettendoci la propria esperienza personale».
ventiquattro ore della vita di una donna 1
Altra coincidenza: l' attore che impersona il ragazzo ha 26 anni. «La cosa mi ha impressionato profondamente. Da quando è morto Leonardo, ho sempre pensato che nessuno si è mai preso la briga di inventare un termine per definire un genitore che perde un figlio: nel vocabolario non c' è.
Evidentemente non è una cosa ammissibile: chi ha figli si rifiuta anche solo di immaginare una circostanza del genere. E non c'è differenza tra suicidio o no: è assurdo che un padre o una madre sopravvivano al proprio figlio. Io mi sento orfana di Leonardo che, dopo anni di sofferenza, si è tolto la vita: la sua esistenza è finita, e non ha senso. Per questo non riesco ad andare nemmeno al cimitero sulla sua tomba, è innaturale».
Ma l' 8 maggio Evelina compie 60 anni di vita e 40 di attività da figlia d' arte: «Figlia d' arte? Per mio padre l' ideale era che studiassi lingue e insegnassi a scuola. Non ha fatto nulla per aiutarmi, non era nel suo stile, ma nemmeno per contrastarmi. All' inizio partivo avvantaggiata e svantaggiata: data la mia illustre parentela, tutti volevano testare cosa fossi capace di fare, pronti a cogliermi in fallo».
Quale eredità artistica da papà Amedeo? «Prima di tutto il rigore della professionalità e poi mi ripeteva spesso: inventati il background del personaggio che devi interpretare, non fermarti mai solo al copione. Purtroppo - conclude l' attrice - ha fatto appena in tempo a vedere il mio primo importante debutto nel Cyrano di Rostand dove interpretavo Rossana, con la regia di Scaparro. Quella sera, alla Pergola di Firenze, mi disse: in teatro ho sentito solo te».
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