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Luigi Ferrarella e Andrea Galli per il “Corriere della Sera”
LO SCOOTER DI CLAUDIO GIARDIELLO
Di prima mattina, alle 8.40 del 9 aprile, ha girovagato per mezz’ora in tribunale Claudio Giardiello, prima di raggiungere l’aula del proprio processo per bancarotta dove dopo due ore avrebbe iniziato a sparare selettivamente ai bersagli delle sue ossessioni giudiziarie, lasciandosi alle spalle tre morti e due feriti.
A spostare indietro le lancette e a porre dunque nuovi interrogativi ai quali rispondere con una differente ricomposizione di testimonianze e video è infatti la novità — confermata ieri come ormai quasi certa — della individuazione dell’ingresso di Giardiello non alle 9.10 dal varco laterale di via Manara non presidiato da metal detector, bensì dal metal detector del varco posteriore di via San Barnaba alle 8.40.
LA FUGA IN SCOOTER DI CLAUDIO GIARDIELLO
La prima idea era suggerita da un fotogramma di non buona qualità delle telecamere in via Manara, che era sembrato cogliere una fisionomia in effetti molto somigliante a quella di Giardiello, che in questa ipotesi si sarebbe mescolato agli addetti ai lavori (magistrati e avvocati) esibendo un falso tesserino da legale.
I pm di Brescia e i carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano, non arrestandosi però di fronte all’apparente facile soluzione, per scrupolo hanno ricontrollato ogni fotogramma di ogni orario di ciascuno dei sei ingressi del tribunale. E così hanno estratto un’altra videoimmagine di un altro apparente Giardiello, che però entrava in via San Barnaba molto prima, già alle 8.40. A quel punto sono state cercate immagini dell’esterno della via, e appena prima di quell’ora si sono trovati fotogrammi di Giardiello che arrivava in scooter e parcheggiava.
«Immagini nitide» vengono ieri confermate dagli inquirenti alle agenzie di stampa questi fotogrammi che cambiano tutta la ricostruzione. Perché adesso c’è da capire quale intreccio di contingenze e fatalità abbia consentito a Giardiello di transitare con la pistola sotto il metal detector (apparecchio che fece il proprio «lavoro» e si accese) senza essere fermato e controllato con lo scanner manuale dai vigilantes di guardia: cosa invece avvenuta per chi subito davanti e subito dietro Giardiello fece pure scattare il metal detector per le consuete ordinarie ragioni (monete nei pantaloni, cellulari in tasca, cinghie dei pantaloni, spille, ecc.).
CLAUDIO GIARDIELLO CON LA FIGLIA
E del resto il passaparola tra le guardie ieri in servizio, colleghe dei vigilantes che quella mattina si saranno trovati di turno nel servizio di sorveglianza gestito da due società private (una delle quali a sua volta raggruppamento di imprese, sicché solo gli inquirenti sanno quale personale di quale azienda fosse al varco di via San Barnaba alle 8.40 del 9 aprile), era tutto uno scervellarsi per capire a posteriori cosa potesse essere accaduto rispetto ai propri protocolli di lavoro.
CLAUDIO GIARDIELLO ARRESTATO A VIMERCATE
Un lavoro delicato e ansiogeno, con un continuo via e vai di 5.000 persone che entrano ogni mattina in tribunale, che borbottano se si forma una fila e spesso protestano per lesa maestà se i controlli si fanno più stringenti. E un lavoro quel 9 aprile forse anche complicato da un imprevisto picco di affluenze nel varco di via San Barnaba, perché fino alle 9.30 il metal detector di via Freguglia aveva avuto problemi e il pubblico era stato dirottato appunto su San Barnaba. Sorveglianza che, come già previsto dalla legge per tutta Italia, «da settembre passerà sotto il diretto controllo del ministero della Giustizia — ricorda il ministro dell’Interno Alfano —. Speriamo che una cabina di regia unica possa dare maggiore efficienza».
La retrodatazione dell’ingresso di Giardiello potrebbe indurre a rivalutare, fra le impressioni raccolte dopo la strage, quelle di un paio di testi che nelle foto di Giardiello sui giornali ritenevano di aver riconosciuto una persona incontrata un quarto d’ora prima delle 9 fra il sesto e il settimo piano, e che aveva domandato loro alcune informazioni: spunti all’inizio scartati perché apparivano incompatibili con quello che in quel momento si riteneva l’orario di ingresso di Giardiello in via Manara, e cioè le 9.10.
Nell’impossibilità allo stato di soppesare il valore o l’insignificanza di questi ricordi, si può solo rilevare che, se l’aula del processo teatro degli omicidi del coimputato Giorgio Erba e dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani è al terzo piano, e se l’ufficio dove poi Giardiello ha ucciso il giudice civile Ferdinando Ciampi è al primo, al sesto c’è un’ala di tribunale civile, mentre al settimo (penale) hanno le stanze i giudici delle indagini preliminari. Due dei quali in passato avevano avuto procedimenti riguardanti Giardiello.
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