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GLI ANNI DI PIOMBO NON FINISCONO MAI – AL PROCESSO PER LA SPARATORIA ALLA CASCINA SPIOTTA DEL 1975, DOVE RIMASERO UCCISI IL CARABINIERE GIOVANNI D’ALFONSO E LA FONDATRICE DELLE BR MARA CAGOL, LAURO AZZOLINI ROMPE IL SILENZIO E AMMETTE DI ESSERE LUI IL “BRIGATISTA IGNOTO”: “SONO L’UNICO ANCORA VIVO AD AVER VISTO QUELLO CHE È SUCCESSO DAVVERO QUEL GIORNO, QUANDO TUTTO PRECIPITÒ” – LA RICOSTRUZIONE FORNITA DALL’82ENNE AZZOLINI: “PER APRIRCI UNA VIA DI FUGA LANCIAMMO DUE BOMBE A MANO SENZA MIRA…”
Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per www.corriere.it
Mancava un nome su una pagina di storia (e di morti ammazzati), e alla fine è arrivato. Dopo mezzo secolo. Individuato dall’indagine dei carabinieri, portato alla sbarra dalla Procura antiterrorismo di Torino, e ora per ammissione del protagonista, all’apertura del processo.
Il «brigatista ignoto» della sparatoria alla cascina Spiotta — dove rimasero uccisi l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e la fondatrice delle Br Margherita «Mara» Cagol, mentre il tenente Umberto Rocca perse un braccio e un occhio — è Lauro Azzolini, militante della prima ora, già condannato per fatti di lotta armata tra cui il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, libero dopo aver scontato la pena e oggi in attesa del nuovo giudizio. A quasi 82 anni d’età.
[...] ieri davanti alla corte d’assise di Alessandria, dopo anni di silenzi dovuti proprio all’ipoteca penale che pesa su ogni parola, il principale imputato, assistito dall’avvocato Davide Steccanella, ha deciso di parlare: «Prima che lo facciano altri, poiché sono l’unico ancora vivo ad aver visto quello che è successo davvero quel giorno, quando tutto precipitò. Un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere, nel quale sono morte due persone che non avrebbero dovuto morire».
Correva l’anno 1975, e le Brigate rosse avevano deciso di uscire dalle fabbriche del Nord per irrompere sulla scena politica nazionale, perché «nel contesto delle lotte di classe e nel duro conflitto sociale, insieme a tanti altri compagni pensavamo di poter fare la rivoluzione». Un anno prima avevano rapito il magistrato genovese Mario Sossi a Genova e ucciso a Padova due militanti missini.
Per finanziare nuove imprese, il 4 giugno rapirono l’industriale Vallarino Gancia e lo portarono in quella cascina nella campagna alessandrina. L’indomani, una pattuglia di carabinieri arrivò senza che Azzolini né Mara Cagol se ne accorgessero.
«Ci prese il panico — ricorda ora l’ex brigatista, arrestato nell’ottobre 1978 e dissociato dalla lotta armata fin dai primi anni Ottanta —, improvvisammo tutto sul momento e decidemmo di fuggire abbandonando l’ostaggio».
Per aprirsi una via di fuga lanciarono due bombe a mano «senza mira»; l’appuntato D’Alfonso fu colpito a morte, e il tenente Rocca restò invalido per il resto della vita. I brigatisti salirono a bordo di due macchine, ma trovarono la strada sbarrata dall’auto dell’Arma: «Io e Mara ci urtammo finendo la corsa sotto il tiro di un altro carabiniere che era spuntato all’improvviso».
IL CADAVERE DI MARA CAGOL DOPO IL BLITZ PER IL RAPIMENTO GANCIA 1975
La donna era già ferita, ma Azzolini aveva un’altra bomba e decisero di provare a scappare a piedi: «Al suo cenno la lanciai e mi misi a correre verso il bosco, convinto che Mara mi avrebbe seguito. Raggiunto il bosco mi accorsi che non c’era, guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine che ho di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare... Ho continuato a correre a piedi, ben oltre il bosco, quando sentii due spari». [...]
«Lo sconcerto e il dolore mi hanno attraversato la carne come una lama — dichiara l’ex br —. Col rispetto dovuto, è anche per quei due morti che non avrebbero dovuto esserci che non sono più potuto tornare indietro. Capisco che oggi questo sembrerà paradossale ma allora, per la mia coscienza di classe, ha significato assumermi la responsabilità della scelta fatta».
La versione brigatista era già contenuta in una relazione anonima trovata l’anno successivo nel covo dove Renato Curcio, marito di Mara Cagol, fu arrestato l’anno successivo; e grazie alle impronte rilevate su quei fogli si è riusciti a identificare Azzolini.
Nel 2022, quando l’appuntato dei carabinieri Pietro Barberis, protagonista dell’epilogo, era morto da 19 anni. Dunque l’ex br resta l’unico testimone, e la sua ricostruzione senza contraddittorio.
Per l’omicidio D’Alfonso e il ferimento di Rocca Azzolini era stato prosciolto nel 1987, ma la sentenza s’è persa nell’alluvione che allagò il tribunale di Alessandria. Nel nuovo processo sono imputati anche Curcio e Mario Moretti, all’epoca al vertice delle Br, in qualità di «concorrenti morali», ma la dichiarazione del loro compagno di un tempo — concepita soprattutto per dare una risposta a Bruno D’Alfonso, figlio dell’appuntato ucciso quel giorno, che ha sollecitato la riapertura dell’inchiesta — sembra scagionarli. [...]
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