
DAGOREPORT - L’INCONTRO DI GIORGIA MELONI CON VANCE E VON DER LEYEN È STATO SOLO ''ACCIDENTALE'': È…
«Ho avuto solo qualche sospetto su alcune mediazioni algerine». L’unica concessione che Paolo Scaroni fa alla ricostruzione della procura di Milano, è su questo punto. Per il resto, l’ex numero uno del Cane a sei Zampe, indagato per concorso in corruzione internazionale per una presunta maxi «stecca » da 198 milioni di euro, versata a ex ministri e funzionari algerini per contratti di estrazione da oltre 11 miliardi, nega. «Mai saputo di tangenti e io non dirigevo le società», la difesa dell’interessato in un comunicato di tre righe su cui non ha altro da aggiungere.
Eppure, davanti al gup di Milano Alessandra Clemente, i tre pm- Fabio De Pacquale, Isidoro Palma e Giordano Baggio - , al termine del loro intervento articolato, hanno chiesto il rinvio a giudizio di Scaroni e di altri dieci. Scaroni, per rivendicare la propria correttezza, ha voluto sottoporsi all’interrogatorio. Prima con le domande della sua difesa - lo studio Moro Visconti e poi a quelle dei tre pm.
De Pasquale ha fatto ascoltare in udienza preliminare anche due telefonate raccolte durante l’indagine, dagli uomini del Nucleo di polizia tributaria che, per l’accusa sono uno dei pilastri della richiesta di rinvio a giudizio. La prima, con l’allora ministro alle Attività produttive, Corrado Passera, si consuma nel febbraio 2013, quando la Finanza ha appena consegnato l’avviso di garanzia a Scaroni in cui si ipotizza la corruzione. Il top manager, alla cornetta, rivela al ministro che sull’Algeria «la tangente c’è stata».
Ieri i pm hanno chiesto di avere spiegazioni in merito a questa che appare una confessione. Ma Scaroni si è difeso sostenendo di aver appreso le notizie solo dalla stampa. Nella seconda molto simile - l’interlocutore è l’ex responsabile della comunicazione di Eni, Gianni Di Giovanni. Scaroni ha fornito la medesima giustificazione.
Intanto da Trani, il procuratore Carlo Maria Capristo ha precisato che l’acquisizione di documenti nella sede dell’Eni avvenuta nei giorni scorsi non riguarderebbe ipotesi di complotti internazionali ai danni dei Eni - secondo le indiscrezioni che si rincorrono da qualche giorno - ma fatti circoscritti alla competenza territoriale della Procura.
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