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“STASI AVEVA UN ALIBI LA MATTINA DELL’OMICIDIO DI CHIARA POGGI: STAVA LAVORANDO AL COMPUTER ALLA SUA TESI” - STEFANO VITELLI, IL GIUDICE CHE ASSOLSE IL RAGAZZO NEL PRIMO GRADO DEL PROCESSO SULL'OMICIDIO DI CHIARA POGGI, NON HA CAMBIATO IDEA: "C’ERA UN SECONDO FATTO RILEVANTISSIMO, UNA SIGNORA ANZIANA RACCONTÒ CHE QUELLA MATTINA AVEVA VISTO UNA BICI APPOGGIATA AL MURO DI CASA POGGI. LA DESCRISSE COME UN MODELLO DA DONNA E NON CORRISPONDEVA QUINDI ALLA BICI DI STASI - ANDREA SEMPIO? C'ERA UNA STRANA PAGINETTA DI CINQUE RIGHE. SI PARLAVA DI UNO SCONTRINO…” - VIDEO
Giuseppe Legato per la Stampa - Estratti
Che cos'è il ragionevole dubbio di giudice?
«Non è una sconfitta perché se una volta approfondito tutto il materiale che abbiamo si arriva a una conclusione di concreta incertezza allora è giusto assolvere. Che non è una sconfitta dello Stato ma una vittoria».
Stefano Vitelli è il giudice che ha scagionato Alberto Stasi nel primo grado del processo sull'omicidio di Chiara Poggi. Gli dissero che era "un ipergarantista". Quindici anni dopo non ha cambiato idea: «Meglio un colpevole fuori che un innocente dentro».
Dottor Vitelli lei sostenne: "È stato un processo molto strano". Perché?
«Perché più approfondivo la cosa più qualcosa sfuggiva, aleggiava - e ha aleggiato fino alla fine - un'ombra di mistero, di incompiutezza».
Qual è il momento in cui ha pensato: Stasi è innocente?
«Un fatto sorprese tutti e riguardava l'alibi informatico di Stasi. Disse che aveva lavorato tutta la mattina alla tesi sul suo computer, ma che, non riusciva a provare che aveva interagito col suo portatile a causa di procedure scorrette utilizzate dai carabinieri che avrebbero "sporcato" i dati informatici».
Ebbene?
«Disposi una perizia, contattati degli ingegneri, chiesi loro di fare un miracolo».
Che avvenne o no?
«Mi chiama una sera il perito e mi dice: "Dottore è seduto? Perché devo sorprenderla: Stasi lavorava al computer quella mattina"».
Non aveva mentito.
«Aveva detto la verità. E cioè che lui quella mattina e in orari chiave aveva lavorato alla tesi con sostanziale continuità e impegno intellettuale».
Questo cosa ci racconta?
«Che se si immagina che l'omicidio è avvenuto nella prima parte della mattina dobbiamo inevitabilmente pensare che Stasi stesse lavorando alla tesi dopo aver ucciso la fidanzata e che sia riuscito a tornare in fretta e furia a casa per mettersi a lavorare con impegno intellettuale».
Impossibile?
«Ragionevolmente impossibile e c'è un secondo fatto rilevantissimo».
Se lo ritiene lo dica.
«Decisi personalmente di sentire una signora anziana. Raccontò che quella mattina aveva visto una bici appoggiata al muro di casa Poggi. La descrisse come un modello da donna e non corrispondeva quindi alla bici di Stasi».
Cosa la colpì di questa testimonianza?
«Che si respirava una certa diffidenza nei suoi confronti. Le chiesero: "Signora, aveva il sole davanti agli occhi?"».
Domanda dell'accusa?
«Domanda provocatoria».
Come se la spiegò?
«Dico solo che calò il silenzio in aula, invitai le parti, tutte, a fare domande. Nessuno chiese nulla. Lì ho percepito questo senso di incompiutezza, come se questa donna ci stesse restituendo il frammento di un'altra realtà, di una verità diversa».
Andrea Sempio se lo ritrovò tra gli atti già allora?
«C'era una strana paginetta di cinque righe. Si parlava di uno scontrino».
Non lo trovò curioso?
«Molto curioso».
Ma nessuno accese un faro…
«Il mio compito era rispondere a un quesito: Alberto Stasi è innocente o colpevole? Cercare una terza via per il giudice è compito abnorme e improprio: deve essere terzo».
Non fu aiutato nemmeno dal fatto che le indagini furono lacunose. O sbaglio?
«Quello era un dato pacifico, ma all'inizio l'approccio degli investigatori fu quello di un incidente domestico».
marco panzarasa - alberto stasi - chiara poggi - londra 2007
(...)
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abbraccio tra alberto stasi stefania cappa 4
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IL GUP STEFANO VITELLI
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