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TRUMP APPARECCHIA IL NUOVO ORDINE MEDIORIENTALE – ETTORE SEQUI E IL DISEGNO PIÙ AMPIO TRA LE RIGHE DEL PIANO DI PACE PER GAZA: "IL PROGETTO COLLEGA GAZA AL GOLFO, LA NORMALIZZAZIONE ARABO-ISRAELIANA AL CONTENIMENTO DELL'IRAN” – “IL NUOVO EQUILIBRIO È FONDATO SU DUE ASSI: LA CENTRALITÀ AMERICANA E LA TRASFORMAZIONE DELLA QUESTIONE PALESTINESE DA IDEOLOGIA A GOVERNANCE. MA NESSUNA ARCHITETTURA IMPOSTA DALL'ALTO PUÒ DURARE SE NON CAMBIA LE PERCEZIONI COLLETTIVE. HAMAS PUÒ DEPORRE LE ARMI MA NON LA RABBIA; ISRAELE PUÒ ARRETRARE LE TRUPPE MA NON LA PAURA; GLI STATI UNITI POSSONO IMPORRE MA NON CREARE FIDUCIA…”

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Estratto dell’articolo di Ettore Sequi per “La Stampa”

 

ETTORE SEQUI

La ricorrenza dei due anni dalla strage compiuta da Hamas il 7 ottobre coincide con l'avvio dei negoziati di Sharm el-Sheikh, una coincidenza densa di significato.

 

In questi due anni il Medio Oriente si è trasformato: l'attacco israeliano a Hezbollah e l'annunciata chiusura di Unifil hanno ridisegnato il fronte libanese; il colpo al programma nucleare iraniano ha ridimensionato la proiezione di Teheran; in Siria, la caduta di Assad e l'ascesa di Al-Sharaa hanno incrinato il "cerchio di fuoco" iraniano costruito per colpire Israele.

 

In questo contesto Trump prova a costruire un'architettura di uscita dal conflitto. Il suo piano […] si regge su tre assi.

 

Primo: l'imposizione della volontà americana. Dopo anni di ambiguità Washington torna a esercitare un potere diretto usando pressione e dipendenza come strumenti efficaci: una diplomazia coercitiva che vincola gli alleati quanto i nemici.

 

donald trump benjamin netanyahu foto lapresse

Secondo, la ridefinizione del ruolo israeliano. Netanyahu, stretto tra la Casa Bianca e la destra ebraica messianica, è prigioniero del linguaggio che ha costruito: per vent'anni ha identificato la sicurezza con il dominio, ma ora la crisi interna e la pressione americana lo costringono a un cambio di paradigma. Israele resta forte, ma non più sovrano delle proprie scelte strategiche.

 

Terzo: la crisi di Hamas. Indebolito e frammentato, il movimento è diviso tra chi punta a sopravvivere politicamente e chi rifiuta ogni compromesso. La pressione dei negoziatori Qatar, Egitto e Turchia segna la fine della tolleranza araba: Hamas non è più un attore utile ma un fattore d'instabilità anche per chi lo aveva tollerato o usato.

 

MILIZIANO DI HAMAS CON FELPA BOSS

Trump agisce come amministratore di crisi, spinto da un'urgenza politica e personale. È un'impazienza strategica: vuole risultati immediati. La liberazione degli ostaggi israeliani è la sua priorità e la prova tangibile del successo che, pensa, gli varrà il Nobel.

 

Se Netanyahu e Hamas hanno il tempo, Trump ha l'orologio, e le lancette corrono veloci.

 

[…]  Resta volutamente ambiguo il punto decisivo: il percorso verso uno Stato palestinese, unico elemento capace di dare coerenza al piano.

 

Ciascun attore lo interpreta secondo i propri interessi: per Israele pericolo da evitare, per Hamas promessa da sfruttare, per Trump espediente linguistico, per gli arabi necessità diplomatica.

DONALD TRUMP CON AL THANI IN QATAR

 

Ma qui risiede la chiave di tutto: senza una prospettiva politica concreta, l'emergenza umanitaria a Gaza rischia di diventare il brodo di coltura di una nuova radicalizzazione globale, un'intifada planetaria alimentata da rabbia e disperazione. È questa la vera posta in gioco. Solo attraverso la statualità palestinese si potrà evitare che la propaganda di Hamas susciti odio e terrorismo.

 

Dietro la tecnica dei colloqui emerge dunque un disegno più ampio: la costruzione di un nuovo ordine regionale. La proposta di una governance "palestinese, apolitica e sostenuta da Stati arabi" segna il ritorno dell'Egitto come potenza territoriale. Il Cairo non media più, garantisce: la stabilità di Gaza coincide con la sicurezza del Sinai.

 

tamim bin hamad al thani mohammed bin salman tahnoon bin zayed

L'Egitto e il Qatar non negoziano solo la tregua ma amministrano la transizione dal caos all'ordine. Il progetto di Trump collega Gaza al Golfo, la normalizzazione arabo-israeliana al contenimento dell'Iran.

 

È la prima pietra di un nuovo equilibrio regionale fondato su due assi: la centralità americana e la trasformazione della questione palestinese da ideologia a governance.

 

Ma nessuna architettura imposta dall'alto può durare se non cambia le percezioni collettive. Hamas può deporre le armi ma non la rabbia; Israele può arretrare le truppe ma non la paura; gli Stati Uniti possono imporre ma non creare fiducia.

 

BOMBARDAMENTO AMERICANO AI SITI NUCLEARI IRANIANI

Il Medio Oriente che può nascere a Sharm el-Sheikh rischia di restare precario. Occorre fermare la guerra ma la pace non è ancora credibile. È il paradosso del piano Trump: imporre la moderazione con la forza, trasformare la pressione in stabilità.

 

La tregua, se verrà decisa, resisterà solo se Hamas e Israele sapranno autolimitarsi. È il paradosso di Trump: usare la forza per fermare la forza. Da questo dipendono Gaza, il rilascio degli ostaggi, l'autorità degli Stati Uniti e l'equilibrio del Medio Oriente.

La pace, nella visione di Trump non è più un gesto morale: diventa una prova di potenza.

sito nucleare di fordow prima dei bombardamenti americanidonald trump

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