NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
Antonio Riello per Dagospia
Palazzo Reale, Milano. Guardando direttamente la facciata si vede un grande banner che segnala e celebra la mostra di Keith Haring. Invece sul lato destro dello slargo si intravede appena appena un piccolo ingresso che porta ad una mostra apparentemente secondaria e dalla natura, si potrebbe immaginare a prima vista, quasi accidentale.
Bisogna entrare. Siamo di fronte al lavoro emozionante e assolutamente profetico di Charlotte Salomon. Una esperienza artistica ed umana imperdibile. Disposta in tre sale (infanzia, gioventù e vita fuggiasca) è esposta, in ordine cronologico, una selezione di duecentosettanta delle sue gouaches.
Charlotte era nata nel 1917 a Berlino in una famiglia della borghesia ebraica tedesca. Le arti e la musica avevano accompagnato e rallegrato la sua gioventù. Era stata una brillante studente dell'Accademia delle Belle Arti di Berlino, ma le leggi razziali la avevano costretta a fuggire e a rifugiarsi dai nonni nel Sud della Francia.
Qui scopre che la madre, morta quando era molto piccola, in realtà si era suicidata, così come era accaduto anche a diversi zii e cugini, oltre che alla nonna stessa. Un' ombra scura fatta di depressione e di suicidi copriva dunque la storia della sua famiglia ed andava ad aggiungersi all'atmosfera cupa e sinistra che già da tempo avvolgeva la vita terribile delle famiglie di fede israelitica nei territori dominati dai nazisti.
Nel 1940 a Villefranche-sur-Mer, non lontano da Nizza, nella Francia già occupata dai tedeschi, lei decide improvvisamente di iniziare la sua grande opera "Leben ? oder Theater ?" (Vita? o Teatro?). Una sorta di autobiografia multimediale condotta con infaticabile energia e lucidità. Realizza in circa due anni ben ottocento tempere su carta (tutte delle stesse dimensioni) piene di testi e di annotazioni musicali.
La giovane Charlotte, nel solco della migliore tradizione culturale tedesca e della cosiddetta Gesamtkunstwerk (Opera d'Arte Totale) - teorizzata da Wagner stesso - cerca di realizzare (per quanto possibile, dati i pochissimi mezzi a disposizione) un racconto della sua vita che si svolga tra musica, immagini, parole, indissolubilmente tra loro legati. Il curatore usa felicemente in questo caso il bellissimo termine originale di "Singspiel" ("recita cantata").
Ma tutto ciò, visto con gli occhi di oggi, i nostri, sembra proprio la geniale profezia di un blog multimediale on line. E in effetti lo è. In questa prospettiva infatti le sue bellissime tempere è come se fossero tanti scatti fatti con lo smartphone. Documenti visivi in progress di una esperienza di vita corredati di annotazioni ed informazioni per una possibile visione appunto multimediale.
Nella rassegna delle immagini in mostra sono ovviamente moltissimi i momenti famigliari. Non mancano certo anche toccanti situazioni intime. Ma sullo sfondo c'è comunque ben visibile tutta la tragedia che si sta abbattendo sull' Europa. Una tempera, nell'ultima sezione della mostra, trasmette con rara efficacia emotiva l'atmosfera di una parata nazista nella Germania del tempo.
La qualità artistica di questo straordinario corpus è del resto esemplare. Definire l'artista come "inspirata" non è in questo caso un mero gioco di cortesi aggettivi. L'inspirazione stavolta c'è davvero, è potente ed è inequivocabilmente percepibile. Si tratta di una specie di "paradiso tascabile" che faceva da contrappunto all'inferno, pubblico e privato, che avvolgeva la vita dell'artista. Uno stile figurativo veloce e preciso lo rende magnificamente fruibile a chiunque voglia avvicinarvisi.
Nell' Ottobre del 1943, poco dopo essersi sposata con il medico Alexander Nagler, già incinta di qualche mese, viene scovata ed arrestata, in quanto ebrea, dagli sgherri della Gestapo che controllavano la Repubblica di Vichy. E' trasportata nel giro di pochi giorni al campo di sterminio di Auschwitz dove, secondo alcune testimonianze, viene assassinata in una camera a gas lo stesso giorno del suo arrivo.
La sua opera, nascosta e scampata alla distruzione finisce in modo rocambolesco nelle mani di Ottilie Moore. In seguito, dopo la guerra, viene affidata al padre Albert Salomon che decide di donarla al Jewish Historical Museum di Amsterdam. Normalmente viene tuttora là conservata, a cura della Fondazione Charlotte Salomon.
La personalissima poetica di Charlotte, dominata dall'ossessione famigliare per il suicidio, fa pensare, più o meno direttamente ma inevitabilmente, alle vicende personali e letterarie delle poetesse Sylvia Plath e Antonia Pozzi.
Un sincero "bravo" al curatore della mostra, il Prof Bruno Pedretti, per aver reso noto il Italia questo piccolo capolavoro. Peccato che non ci sia disponibile un bel catalogo della mostra ma solo un libro dello stesso Pedretti. Libro assolutamente interessante ma purtroppo pressoché privo di illustrazioni. Anche per questa ragione raccomando caldamente di guardare con attenzione il bel video che precede la mostra vera e propria.
CHARLOTTE SALOMON
"VITA? O TEATRO?"
Milano, Palazzo Reale, Piazza Duomo 12,
dal 30 Marzo al 25 Giugno 2017
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