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Aurelio Magistà per “la Repubblica”
C’era una volta la plastica. E ci sarà per molto tempo ancora. La lunga avventura che ha segnato tutto il Novecento proseguirà nel Ventunesimo secolo senza che attualmente se ne possa prevedere la fine. Perché le loro virtù, ovvero leggerezza, robustezza, versatilità, colore e possibilità di continui miglioramenti le rendono pervasive e insostituibili.
Il Novecento è effettivamente stato il secolo della plastica (o, per essere più precisi, dei polimeri), perché la data di nascita di questa numerosa famiglia di materiali viene in genere fissata nel 1907, quando Leo Hendrik Baekeland, professione - ovviamente - chimico, crea la bachelite. Certo, prima c’erano stati, per esempio, ll rayon, nel 1855, o la celluloide, nel 1869.
Ma il boom demografico delle plastiche, che finirà per invadere la nostra vita quotidiana, esplode proprio nella parte centrale del Novecento. Registrando anche qualche gloria italiana: il Moplen, nome commerciale del polipropilene isotattico, creato da Giulio Natta nel 1954. Nove anni dopo Natta vincerà il Nobel per la chimica insieme a Karl Ziegler, papà del polietilene.
Adesso una bella occasione per rievocare questa straordinaria avventura viene offerta dalla mostra Plastic Days. Materiali e design , dal 21 febbraio al museo Ettore Fico di Torino. Un’esposizione divertente perché si compone di oggetti eterogenei per colore, forma e destino d’uso. Opere d’arte come il Personaggio in resina acrilica di Enrico Baj, oggetti desueti come un ventaglio francese in nitrato di cellulosa o oggi improbabili come una borsa statunitense in rigido polimetilmetacrilato, ma anche familiari bottiglie in polietilene tereftalato, il famigerato Pet, o la posata multiuso progettata da Giulio Iacchetti, che apre una finestra sul futuro: è realizzata in bioplastiche, ovvero polimeri ecocompatibili.
tappeto di bicchieri di plastica
La mostra, curata da Cecilia Cecchini e Marco Petroni in collaborazione con la fondazione Plart-Plastiche e arte di Napoli, da cui provengono i circa seicento oggetti esposti, si articola in sette sezioni che, pur essendo tematiche (una è dedicata ai “Suoni della plastica” e un’altra, “Vanità della plastica”, agli oggetti di uso quotidiano come pettini, portacipria, gioielli), possono anche essere lette come un percorso storico.
tappeto di forchette di plastica
Si parte dalle plastiche presintetiche, gli antenati dei polimeri, come il bois durci , una singolare miscela di polvere di legni duri e sangue animale, o la galatite, ricavata dalla caseina, per arrivare ai polimeri di ultima generazione che cercano un futuro più compatibile con l’ambiente.
Più che un futuro, almeno due, come spiega Cecilia Cecchini. Infatti, è improbabile che le plastiche sintetiche, quasi sempre derivate dal petrolio, scompaiano, perché una delle linee di sviluppo della ricerca punta proprio a rendere questi materiali sempre più performanti ed eclettici, ovviamente alleggerendo l’impatto ambientale della produzione e insistendo sul riciclo: si aprono di continuo nuovi orizzonti funzionali e nuove applicazioni.
L’altra linea di sviluppo, che indaga sui materiali “verdi”, ecocompatibli, sta producendo interessanti risultati: il mater-B derivato dal mais ha permesso la scomparsa dai supermercati delle borse di plastica che inquinano per secoli e si sta articolando in molte altre applicazioni, ma resta minoritaria.
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