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Caterina Minnucci per "il Fatto quotidiano"
Non è che a me le persone interessino per fotografarle, mi interessano perché esistono. Diversamente, il foto-giornalismo sarebbe soltanto una sequenza di scatti senz’anima.” Lui è Mario Dondero, uno dei grandi protagonisti della fotografia contemporanea e queste parole sono l’espressione più completa del suo lavoro, dell’osmosi tra l’opera e il suo modo di essere.
Dal 19 dicembre si racconta, attraverso 250 foto esposte nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma, in una mostra promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici in collaborazione con la casa editrice Electa.
“Chi ha avuto la fortuna di incontrarlo sa esattamente quale sia il significato della parola humanitas” ha scritto di lui il critico Massimo Raffaeli. Mario, classe 1928, partigiano adolescente in Val d’Ossola, è un uomo dalla curiosità formidabile, appassionato, ironico. Attacca bottone con tutti: “Posso farle una foto?”.
Da quando è tornato in Italia, non è così difficile incontrarlo mentre girovaga con la sua vecchia Leica al collo per la città di Fermo, nelle Marche, dove ha scelto di vivere. La mostra è un’antologia della sua vita, un viaggio nel cuore del secolo “lungo”, la più bella stagione del fotogiornalismo internazionale.
Le quattro sezioni, a cura del professor Nunzio Giustozzi che insieme a Laura Strappa ha realizzato anche la monografia per la collana Electaphoto, sono un diario illustrato con le sue più famose fotografie in nero e una discreta quantità di scatti a colori, vera novità.
Quest’ultime selezionate da Dondero, già famoso per non aver mai tenuto il suo archivio in ordine, con alcuni volontari della fototeca provinciale di Fermo che hanno eseguito in un anno l’inventario di oltre dodicimila diapositive. “Se devo pensare a chi può avermi ispirato nel mio mestiere, il primo che mi viene in mente è Robert Capa”.
L’omaggio di Dondero per lui, nella prima sezione, è uno scatto di quella collina, in Spagna, dove il fotografo dell'Agenzia Magnum realizzò la famosa foto del miliziano morente nella guerra civile. È lo sguardo partecipe di Mario nella storia, la sua continua tensione politica intesa ad “alimentare la memoria”.
Si prosegue con gli scatti della Sorbonne occupata, i suoi primi anni a Parigi dove si trasferì nel ’54 e tra un viaggio e l'altro, ha vissuto per quarant’anni. Geografia di una vita in movimento, non mancano le istantanee degli anni trascorsi a Milano con gli amici del bar Jamaica, la campagna italiana degli Anni 60, la guerra algero-marocchina e il processo Panagoulis.
Imperdibili i suoi ritratti di alcuni tra i più importanti artisti e intellettuali del secolo scorso: tra le sue foto più celebri, quella del gruppo degli scrittori del Nouveauroman (Sarraute, Beckett, Robbe-Grillet, Mauriac, Simon, Lindon, Pinget, Ollier) scattata a Parigi nel 1959; e poi Francis Bacon a Londra, Pier Paolo Pasolini a Roma, Gorbaciov a Ginevra, Vittorio Gassman con la maschera di Amleto a Viareggio.
Alle sue dita sempre pronte a scattare, infine, non sono sfuggiti i vent’anni di guerra a Cuba, la Regina Sibeth della tribù dei Flups in Senegal, la caduta del muro di Berlino, la Russia di Putin e l’Afghanistan senza pace. Sempre dalla parte dell’uomo perché “se l'obiettivo è rivolto verso se stessi, non si vede nulla”.
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