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INSTA-SHORE - UN UFFICIO DESERTO, UNA STRADA NELLA LUCE DELL’ALBA, L'OMBRA DI UN ALBERO SU UN MURO, LA POESIA DELL’ORDINARIO NEGLI SCATTI SOCIAL DEL FOTOGRAFO STEPHEN SHORE: “SU INSTAGRAM CERCO DI EVITARE FOTO TROPPO PRIVATE. CREDO NEL PUDORE”

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Irene Alison per “la Lettura - Corriere della Sera”

 

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Un uomo attraversa la strada zaino in spalla a San Francisco, trascinandosi dietro l' ombra lunga del pomeriggio.

 

Due vecchie Pontiac con la carrozzeria rattoppata sono parcheggiate in attesa di un padrone che probabilmente non tornerà a riprenderle. Tutto è normale.

 

Tutto, semplicemente, accade. Senza dramma né enfasi. Tutto è illuminato dalla poesia dell' ordinario, se a guardarlo è un fotografo capace di trasformare il luogo comune in opera d' arte.

 

Stephen Shore, uno degli interpreti più acuti e sensibili del postmoderno, autore di capolavori sulle cui pagine si è formato lo sguardo di una generazione intera, oggi ha scelto Instagram per continuare il suo racconto di dettagli di poco conto, accadimenti minimali, frammenti di una vita trascorsa tra lo stato di New York, le strade d' Europa, le gallerie di mezzo mondo.

 

E ha conquistato, in breve, una platea di oltre 72 mila follower, un libro andato subito esaurito che raccoglie i suoi scatti social (Stephen Shore selected by Hans Ulrich Obrist: Instagram , Mörel, 2015) e un nuovo terreno di sfida in cui continuare a mettersi alla prova.

 

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È un artista di 68 anni, con oltre venti libri e innumerevoli altre pubblicazioni, che avrebbe potuto dedicarsi alla celebrazione della propria memoria e che invece decide di continuare a divorare il contemporaneo uno scatto dopo l' altro.

 

D' altra parte, dall' uomo che una volta disse che «per vedere qualcosa di spettacolare e capire che può trattarsi di una buona foto non ci vuole un granché. Ma vedere qualcosa di ordinario e riconoscere il potenziale fotografico che contiene è tutta un' altra faccenda», non ci si poteva aspettare che un account Instagram.

 

Oggi, mentre si trova ad Amsterdam per l' apertura di una grande retrospettiva dedicata al suo lavoro (fino al 4 settembre allo Huis Marseille Museum for Photography), Shore racconta a «la Lettura» la sua relazione con la piattaforma che ha fatto della fotografia un' abitudine compulsiva, condivisa da 500 milioni di persone in tutto il mondo. «Mi è sempre piaciuto mettermi in discussione: Instagram - spiega - ha aperto a tutti un nuovo canale di comunicazione e, ad alcuni, una nuova piattaforma artistica, ponendo nuove sfide».

 

Sfidare se stesso, per Shore, significa prima di tutto non soccombere agli stereotipi e trovare un proprio percorso visivo anche tra milioni di selfie e di cappuccini: «Mi piace giocare con i cliché.

 

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Una volta ogni tanto - dice - posto anche io un selfie ma sono assolutamente consapevole di pubblicare queste immagini in un contesto in cui ce ne sono milioni di altre. Su Instagram non è necessario che ogni foto sia particolarmente significativa: la maggior parte dei post che vedo non potrebbe mai essere decontestualizzato e appeso ai muri di una galleria ma riesce ad assumere un suo valore nel flusso della piattaforma».

 

Tuttavia il telefono cellulare, per Shore, non è un semplice diversivo. Il confronto con nuove tecniche espande il vocabolario estetico di un artista: è l' ampliamento di questo margine che appassiona Shore, nel suo dialogo con le nuove tecnologie.

 

«So esattamente come scattare una foto rettangolare ma, su Instagram, le foto quadrate hanno una visibilità migliore: negli ultimi quarant' anni non ne ho mai scattate e riuscirci, oggi, è un stimolo creativo. Anche la dimensione è una scommessa: mi costringe continuamente a domandarmi quanto complessa e dettagliata possa essere una foto così piccola.

 

Consciamente o meno, Instagram sta cambiando il nostro linguaggio visivo: le foto che funzionano meglio sono molto semplici da un punto di vista della composizione. Se avessimo scattato le stesse immagini in pellicola sarebbero state considerate banali o piatte, vederle su uno schermo retroilluminato nel palmo della mano dà loro una diversa intensità».

 

Fino a una ventina d' anni fa, nei suoi pellegrinaggi per l' America profonda e nelle sue mattine di caffè lunghi nei diner di periferia, davanti a una luce che entrava di taglio da una finestra, ancora gli capitava di chiedersi «ma perché non ho portato la macchina?», rimpiangendo una foto non fatta.

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Oggi, dice, «il telefono è sempre con me: la combinazione della semplicità di utilizzo della fotocamera e della qualità raggiunta dalle immagini che scatta mi permette di costruire, con un' intimità e una continuità nuove, una sorta di taccuino visivo della mia vita. Allo stesso tempo, mi porta indietro all' uso che ho fatto delle istantanee negli anni Settanta, con la serie American Surfaces ».

 

Tornano, nei suoi scatti di oggi, quei non-luoghi del vivere quotidiano che da sempre frequenta con gli occhi e che racconta, con grazia e ironia, cogliendo piccole anomalie o silenziose solitudini: un ufficio deserto, una strada nella luce dell' alba, l' ombra di un albero su un muro.

 

Torna l' amata moglie Ginger, protagonista in gioventù di scatti carichi di misteriosa intesa e ancora adesso guardata con amorevole complicità. Torna il suo giardino, ritratto nel corso degli anni con le tecniche fotografiche più diverse, da un bianco e nero grande formato fino al telefono cellulare. E prende corpo, con questo nuovo strumento, un pensiero astratto, un' ossessione più intensa per i dettagli: radici, foglie, nuvole, crepe nell' asfalto. L' obiettivo si avvicina così tanto che le forme si scompongono e l' ordinario diventa alieno.

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Non cambia per Shore, quella capacità di sorprendersi delle piccole cose, di provare interesse per il mondo intorno a sé come se fosse ogni giorno nuovo. Niente compiacimenti autobiografici, però.

 

Il fotografo che negli anni Settanta, reduce da una gioventù passata nel caos creativo della Factory di Warhol a respirare eccessi e pop art, ha raccontato l' America fotografando in colori saturi gli avanzi delle proprie colazioni, tiene a difendere la propria idea di privacy. «Su Instagram cerco di evitare scatti troppo privati, sia perché è un aspetto che ho già raccontato in passato, sia perché, quando vedo le immagini degli altri, non mi interessa sapere che film hanno visto o cosa hanno mangiato. Credo nel pudore».

 

E crede anche, Shore, nel senso del suo mestiere. Ci crede ancora, anche in un mondo in cui tutti parlano la sua stessa lingua. «Non penso che il fotografo professionista perderà mai il suo ruolo. Vedo, piuttosto, l' evoluzione a cui assistiamo come analoga a quella attraversata dalla scrittura.

 

In tutto il mondo, oggi, la scrittura è insegnata e praticata. Tutti scriviamo ogni giorno: email, messaggi, post. Ma anche se la scrittura è onnipresente, c' è ancora un posto per giornalisti, romanzieri e poeti».

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