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Phaidon pubblicò l’album Outland di Roger Ballen nel 2001, le fotografie ritraevano crude scene di vita delle comunità più emarginate del Sud Africa post-apartheid. Il dibattito sull’opportunità degli scatti esplose poco dopo la prima esposizione: Ballen stava sfruttando queste persone? Le foto avevano un significato politico? Qualunque siano le risposte a queste domande, critici e pubblico ne rimasero scioccati.
“La gente non può dissociarsi da quello che vede…” aveva detto Ballen riguardo ai giudizi dati alle sue foto. “Molti scrittori sembrano più bravi a parlare di questioni politiche piuttosto che di problemi estetici…è tutta questione di prospettiva, sono tutti meccanismi di difesa che si attivano. I critici non hanno idea di cosa io o queste persone stiano facendo. Le persone che ritraggo potrebbero essere i miei bambini o miei amici. Le immagini sfidano l’identità dei soggetti che ritraggo e quando il pubblico perde l’orientamento allora afferma che sono foto crudeli”.
Questa primavera, 14 anni dopo la prima pubblicazione di Outland, Phaidon ha pubblicato altre 30 foto inedite di Ballen, in parte perché il fotografo sentiva di aver lasciato nel cassetto un sacco di begli scatti dall’ultima volta.
“Quando ripenso a questo progetto, penso che la mia intenzione fosse quella di trovare un accordo con l’assurdità dell’esistenza umana”, dice Ballen, “penso che questo fosse l’argomento del libro. Mi ci volle un po’ per comprendere ciò che stavo facendo e ciò che stavo investigando”.
Ballen considera il suo un capolavoro, considerato che proviene da Johannesburg, la cui comunità artistica e culturale non è neanche paragonabile a quella delle maggiori città occidentali: “È come fare un bambino o come guardare a una tela vuota, ho creato qualcosa dal niente”.
“Ci sono tanti passaggi prima di scattare una foto – spiega – parte del lavoro è intuizione, un’altra parte è spontaneità; la foto non si scatta da sola quando passi…tante cose fanno parte di un’immagine, non sono i soggetti che decidono di mettersi in posa, loro si trovano ad agire in un ambiente che non ha niente a che fare con la fotografia”.
In questo senso le immagini non costituiscono un documentario, sono fotografie esistenziali e psicologiche, un viaggio nella mente di Ballen. Per questo l’autore rifiuta la definizione di “documentario” e preferisce definirle fondamentalmente esistenziali e psicologiche.
“È un viaggio nella mia mente, nelle persone, un viaggio nell’interiore per trovare il cuore della condizione umana – dice il fotografo. Per fortuna le mie foto aiutano la gente a conoscere meglio se stessa. Queste foto lanciano una sfida, per questo il pubblico le ricorda. Rimangono in testa e scuotono l’identità”.
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