DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
Carlo Moretti per “la Repubblica”
Sarà come rivivere l’atmosfera dei tre giorni di pace e musica di Woodstock, poche note e ci ritroveremo idealmente in quell’estate calda e piovosa del 1969 insieme ai 400 mila figli dei fiori in estasi per il festival simbolo del rock. La macchina del tempo si chiama Santana IV, l’album in uscita il 15 aprile che Carlos Santana ha registrato richiamando dopo 45 anni nel gruppo alcuni dei musicisti della band che si esibì a Woodstock: Gregg Rolie alle tastiere, Michael Carabello alle percussioni e Michael Shrieve alla batteria. E anche il chitarrista Neal Schon che non era a Woodstock ma insieme agli altri realizzò due dei primi album della band.
In tre anni, dal 1969 al 1971, i Santana partirono per un viaggio che li portò dall’anonimato (a Woodstock erano praticamente al debutto) fino alla vetta del mondo. Poi tutto cambiò, anche i Santana capirono che la droga era diventata un problema: «L’anno prima l’eroina si era portata via Hendrix, nell’estate del ‘71 era morto Morrison a Parigi. Di lì a qualche mese se ne sarebbe andata per lo stesso motivo Janis Joplin.
E purtroppo l’impressione era che alcuni di noi fossero sulla stessa strada», spiega Carlos Santana, che in quel momento decise di lasciare la band nel mezzo di un tour, finché le droghe («solo quelle pesanti, non ho mai avuto problemi con erba e lsd») non fossero uscite dal gruppo. L’album Caravanserai segnò la spaccatura, Santana e Shrieve in una nuova dimensione musicale ma anche spirituale, dall’altra Rolie e il resto della band.
Ecco allora che Santana IV appare oggi come una perfetta ripresa latin-rock, un fantastico “cosa sarebbe successo se” ma senza nostalgia e con la stessa energia di allora: «Tra i sedici brani secondo me c’è un altra Black Magic Woman e la nuova Samba pa ti » dice convinto Santana, talmente soddisfatto del materiale già registrato (lo presenterà il 13 luglio a Cividale del Friuli, il 19 al Parco della Musica di Roma, il 21 ad Assago) da annunciare in questa intervista l’uscita di una trilogia, fino a Santana VI.
Perché questo album con i Santana proprio ora?
«Perché il tempo era maturo, tra noi oggi c’è un rapporto diverso, dopo 45 anni apprezzi di più ciò che ognuno porta nel gruppo. I Santana hanno trovato il loro suono nel 1969 ma continuano a cercare il modo più efficace per esprimerlo».
Lei aveva incontrato anche il primo percussionista del gruppo, Marcus Malone, ma non è nell’album.
«Mi sono messo in contatto con lui ma ho dovuto constatare che non ha suonato per molto tempo, e quando non ti eserciti tutti i giorni non ce la fai, e non dico soltanto fisicamente. Gregg Rolie ha scritto una canzone per lui The magnificent, uscirà nel prossimo album, abbiamo intenzione di pubblicare una trilogia».
Avete molto materiale?
«Sì e ci sono già canzoni per le quali il lavoro è praticamente terminato. Non appena avremo modo di entrare in studio, dopo il tour, ci concentreremo su Santana V e VI ».
Nel 1969 ci fu il vostro debutto a Woodstock, si può dire che quel festival creò i Santana?
«Woodstock fu per i Santana una grande porta da attraversare, fu una possibilità enorme come del resto lo fu trent’anni dopo Supernatural, l’album del 1999. Due grandi opportunità per raggiungere milioni di persone in tutto il mondo».
Erano anni in cui tutto sembrava possibile e in cui tutto doveva essere sperimentato, a cominciare dalle droghe.
«Sì, ma per me esistono droghe e medicine: per droga io intendo cocaina e eroina, al contrario il peyote e la marijuana non sono droghe, sono medicine. L’uomo costruisce le droghe in laboratorio, madre natura ci offre medicine dalla terra: sono due cose ben diverse.
carlos santana, wyclef jean, shakira, alexandre pires, carlinhos brown e ivete sangalo
A Woodstock eravamo tutti sotto l’effetto della mescalina, ce l’aveva offerta Jerry Garcia dei Grateful Dead. Sapevamo di dover salire sul palco a tarda sera e così quando Jerry ce la offrì nessuno di noi ci pensò su due volte. Il problema fu che dopo neanche un’ora vennero gli organizzatori e ci dissero che era il nostro turno, dovevamo salire subito sul palco. Mi sentivo come un acrobata sul filo, ricordo che pregai Gesù di farmi restare intonato e sul tempo giusto».
Usa ancora le “medicine”?
«Ultimamente no, ma non ne ho paura e se ne avessi l’opportunità le userei, sono convinto che mi divertirei. La mescalina è un’esperienza di liberazione, si diventa normali, ci si rilassa, si abbandonano false abitudini, non a caso veniva prescritta agli attori ad Hollywood. E poi non dava assuefazione».
john mcenroe and carlos santana backstage forest hills, new york, 1982
Da bambino in Messico lei guardava al confine con gli Stati Uniti come ad un passaggio verso la vita futura. Cosa pensa di chi, come Donald Trump, oggi vorrebbe costruirci un muro?
«Trump in America rappresenta la paura collettiva, come un Hitler, Obama è al contrario la possibilità collettiva. Noi umani abbiamo bisogno di qualcuno che ci rimbocchi la coperta, che ci dia calore, una Madre Teresa, un papa Francesco. Che porti in alto la speranza, la fede, il credo. Trump non include tutta l’America arcobaleno, ma solo l’America bianca. Papa Francesco rappresenta l’arcobaleno più di ogni altro Papa».
A Tijuana da bambino lei vendeva gomme da masticare ai gringos americani, subì anche molestie sessuali da uno di loro.
«Io non sono ciò che mi è accaduto e, anzi, grazie a quell’episodio ho avuto l’opportunità di diventare migliore. Vede, esistono la velocità del suono e la velocità della luce, ma poi c’è la velocità del perdono e della compassione che è la più veloce di tutte».
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