COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Antonio Monda per “la Repubblica”
Martin Amis ha scritto Il dossier Rachel a Lemmons, un luogo idilliaco a nord di Londra nel quale lo scrittore passò gran parte dell’adolescenza pensando perennemente alle donne e leggendo fumetti. Furono i palpiti dell’età cosidetta acerba a generare la necessità di esprimersi attraverso questo primo romanzo, che ne rivelò il talento, l’originalità e la forza provocatoria.
Amis ha raccontato recentemente gli effetti dell’invecchiamento del corpo sulla psiche ma anche la storia di un giovane che attende il ventesimo compleanno contiene un misto di desiderio e insicurezza, rabbia e disincanto, come testimonia un incipit divenuto celebre: «Mi chiamo Charles Highway, anche se a guardarmi non si direbbe. È un nome slanciato, che ha viaggiato molto, un nome cazzuto e, a guardarmi, io non sono niente di tutto questo».
Highway (letteralmente: autostrada) è un giovane che fa della conquista di una ragazza ( Il dossier Rachel, pubblicato ora da Einaudi dopo 42 anni dalla sua prima edizione in inglese ) una missione ossessiva, e mistificando il proprio desiderio, si autoconvince di essere un intellettuale.
Insomma C. H. è un alter ego nel quale si riconoscono i tratti di un uomo che di donne ne ha avute veramente tantissime, subendo spesso l’accusa di egoismo e misoginia. «Rileggendolo mi sono accorto che sono elementi presenti nel romanzo», mi racconta Amis nella casa di Brooklyn, dove ormai si è stabilito da qualche anno. «Quello che Charles prova per Rachel è voglia di possesso, di dominio, di manipolazione. Ma l’amore è un’altra cosa».
Lei ritiene di essere un misogino?
«Spero di no, ma è un’accusa che mi è stata fatta spesso».
Nel libro i personaggi maschili sono più negativi di quelli femminili.
«Quando l’ho scritto avevo solo ventitré anni e forse ho subito il conformismo dell’epoca: non avevo ancora imparato bene a giocare con gli stereotipi».
Ma cosa pensa oggi?
«Che dietro ogni stereotipo c’è una verità e che i miei personaggi maschili sono sempre degli antieroi. Conosco le reazioni del lettore».
Ritiene che gli uomini siano in grado di controllare passioni e debolezze?
«Penso che la fragilità non sia una prerogativa femminile».
Nel suo primo romanzo sostiene che la monogamia è impossibile.
«Ritengo infatti che non sia naturale. Aggiungo che la mia generazione è stata educata alla promiscuità».
Non crede che questo provochi dolore?
«Ogni aspetto della vita genera dolore, anche quelli che apparentemente procurano piacere. Ma ad essere sinceri: credo che sia difficile in particolare per gli uomini».
Perché?
«Un qualunque scienziato che studia gli esseri viventi può spiegare che i maschi tendono a spargere il proprio seme; può irritare ma è così. Voglio aggiungere che penso del matrimonio quello che Churchill sosteneva sulla democrazia: la peggiore forma di governo ad eccezione di tutte le altre».
È vero che fino all’adolescenza ha letto solo fumetti?
«Assolutamente vero».
E poi cosa è successo?
«Li ho letti di nuovo».
Quando è passato alla letteratura?
Elizabeth Jane Howard e Martin Amis
«Quando Elizabeth Jane Howard, la compagna di mio padre, mi ha suggerito di leggere Orgoglio e Pregiudizio , convinta che non lo capissi. Io invece mi sono appassionato e a metà del libro le ho chiesto: ma Mr Darcy sposa Elizabeth? E Jane sposa Mr Bingley? Mi aspettavo che lei mi dicesse: “finisci il libro e lo saprai” e invece ha detto “si”. E io ho scoperto che la grande letteratura prescinde dal sapere come va a finire la storia raccontata».
Ritiene che la Austen sia una grande scrittrice?
«Un genio, almeno in tre romanzi: Orgoglio e Pregiudizio, Emma e Northanger Abbey. Ancora adesso, rileggendoli, mi emoziono come se non conoscessi il finale. La sua grandezza è nel modo in cui ha costruito personaggi perfetti».
Esiste una letteratura femminile?
Christopher Hitchens e Martin Amis
«La grande letteratura prescinde dal genere, ma ci sono ovviamente differenze. Rispondo alla tua domanda ricordando quello che mi ha detto un amico critico a proposito del lutto: genera lacrime negli uomini e canzoni tra le donne».
Lei ha sempre detestato il politically correct: nel mondo del suo protagonista non sono ammessi “italiani riservati, parrucchieri eterosessuali e irlandesi sobri.”
«Come ho già detto iniziavo a giocare con gli stereotipi. C’è un momento però in cui uno scrittore deve lanciarsi: certo, si potrebbe sempre scrivere meglio, ma lasciare decantare il testo, o correggerlo all’infinito, non contribuisce a creare un vero autore. E questo è valido specie quando si è figli di uno scrittore, come nel mio caso. Ne ho parlato a lungo con altri “rampolli” come Adam Bellow e Dimitri Nabokov».
Il protagonista del libro odia il padre.
«Nessuna autobiografia, è ispirato ad un caro amico del quale non faccio il nome».
Lei ha rotto con i suoi amici di sinistra quando ha scritto il libro su Stalin.
«Con Hitchens, che era colui a cui tenevo maggiormente, non ho mai rotto, anzi. Per quanto riguarda gli altri, sono sconcertato che si possa reagire male se si parla dei milioni di morti causati da Lenin e Stalin. Nascondendo la realtà sul comunismo non si aiuta né la storia né la verità».
Si considera un uomo di sinistra?
«È una definizione che non ha più senso: credo nei cambiamenti graduali e detesto le utopie. Io combatto ogni estremismo, prodotto dall’ottusità e fonte di violenza».
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