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1- ARMSTRONG E OPRAH, LA PRIMA PARTE DELL'INTERVISTA (INTEGRALE)
VIDEO: http://bit.ly/WnG9qN
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2- ARMSTRONG E FERRARI, I CONTATTI ALLA VIGILIA DEL TOUR 2010
Andrea Pasqualetto per il "Corriere della Sera"
Il Tour 2010 si avvicina e il re del ciclismo vuole una macchina perfetta: muscoli, sangue, ossigeno. Tutto portato all'estremo, al limite umano e oltre quello sportivo. E chi meglio del fedele medico Michele Ferrari, il mago mondiale del laboratorio, può garantire il risultato? Il texano Lance Armstrong, che di Tour ne ha già vinti sette, non ha dubbi. Lo cerca, lo chiama, gli chiede consigli e con lui prepara la nuova impresa. E poco importa se quel dottore dall'aria professorale è anche il medico sportivo più discusso della due ruote, inibito a vita dalla Federazione ciclistica italiana alla frequentazione di atleti e impianti sportivi per via del doping.
No, per Armstrong è sempre stato lui il più bravo e tanto basta per le sue gambe robotizzate. Non a caso lo chiama «Number one» e non a caso gli affida i test preliminari, per poi discuterne al telefono e stabilire con lui il programma di allenamento. à quanto emerge da alcune telefonate intercettate dagli investigatori italiani per conto della Procura di Padova, dalle quali risulta chiara una cosa: il rapporto diretto fra i due anche dopo il ritorno di Armstrong alle competizioni (2009), abbandonate nel 2005. La notizia trapela in Svizzera, dagli atti allegati a una rogatoria avviata dall'Italia con le autorità elvetiche nell'ambito di un procedimento che vede indagato a Padova il medico sportivo di Ferrara.
E così, dietro la clamorosa confessione di Armstrong alla tivù americana, che andrà in onda anche in Italia in due puntate, stasera e domani (ore 21.15 su Dmax, canale 52 del digitale terrestre, canale 28 di TivuSat, canale 808 di Sky), dietro alla radiazione da parte dell'Usada, l'agenzia antidoping degli Stati Uniti che gli ha revocato tutti i risultati sportivi dal 1998 in poi (compresi i 7 tour), dietro anche alla decisione del Comitato Olimpico Internazionale che ieri ha deciso di chiedergli la restituzione della medaglia di bronzo conquistata ai Giochi Olimpici di Sydney 2000, insomma, alla base della sua ingloriosa fine e alla rinuncia a dare battaglia per difendersi da un'accusa tanto pesante, c'è anche questa inchiesta tutta italiana che è giunta alle battute finali.
A indagare è il pm di Padova Benedetto Roberti che ha aveva già incontrato in passato gli americani per informarli di alcune deposizioni da lui raccolte, in particolare il verbale del ciclista della Liquigas Leonardo Bertagnolli che gli raccontò dei suoi incontri con Ferrari. Mentre le carte svizzere raccontano della volontà da parte di entrambi di mascherare la loro frequentazione. Come? Attraverso un paio di filtri. Innanzitutto quello di una società , la Health & performance di Neuchatel, «di fatto di proprietà di Ferrari».
In una telefonata intercettata il 27 ottobre del 2010 fra il medico e Laurent Magne, amministratore della Health, quest'ultimo gli ricorda che stanno ancora aspettando dei pagamenti da Armstrong. Ferrari gli risponde che il ciclista ha pagato e insiste sulla possibilità di ricevere le somme a titolo di consulenza, mentre l'altro lo dissuade: non è possibile, per consulenze no, come detentore di quote sì. Ferrari allora dice di non sapere come giustificare il denaro che arriva sul suo conto.
«Le intercettazioni confermano abbondantemente che Armstrong ha pagato le prestazioni professionali di Ferrari attraverso la società Health & performance», concludono gli investigatori, il cui lavoro è stato un puntello fondamentale nell'inchiesta dell'Usada che ha spodestato Armstrong.
L'altro filtro usato è il figlio di Ferrari, Stefano, che non avendo divieti avrebbe aiutato il padre «per evitare possibili ritorsioni nei confronti degli atleti». Questo tipo di rapporti sono testimoniati da una serie di intercettazioni telefoniche di Armstrong su due cellulari svizzeri di Michele Ferrari e su uno francese di Stefano dal quale parla anche il padre. «Stefano svolge una pura attività di manovalanza».
Qualcuno dice che c'è n'era abbastanza per indurre Armstrong a scegliere la via meno tortuosa, quella della confessione. Mentre il texano, ora, la racconta così secondo un'anticipazione del Washington Post: «Il doping era endemico nel mondo del ciclismo, ma non ho mai costretto nessun compagno a doparsi».
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