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Serena Danna per “la Lettura - il Corriere della Sera”
Se c' è una categoria amata dagli americani è quella dei peccatori pentiti. Ladri, fedifraghi, alcolizzati, persino assassini qualche volta: l' importante è ammettere l' errore pubblicamente, cospargersi il capo di cenere e ricominciare.
Di questa schiera molto nutrita di personaggi pubblici - da Bill Clinton a Britney Spears - fa parte Bill Clegg, uno degli agenti letterari più famosi del Paese.
A 34 anni, con un appartamento al numero 1 di Fifth Avenue, un' agenzia di successo, amici importanti e un fidanzato amorevole, Clegg manda tutto all' aria per il crack. L' esperienza è raccontata in Ritratto di un tossico da giovane (Einaudi), memoir del 2010 accolto con entusiasmo per la maniera diretta di restituire la dipendenza e le devastanti conseguenze.
BILL CLEGG MAI AVUTO UNA FAMIGLIA COVER
A distanza di cinque anni dal libro-confessione, Clegg - nuova agenzia, nuovo fidanzato, ritrovata sobrietà - torna a scrivere, questa volta un romanzo. Mai avuto una famiglia, uscito in Italia con Bompiani, è la storia di una donna sopravvissuta all' incendio che ha ucciso la sua famiglia il giorno prima delle nozze della figlia.
Il libro, finalista al Man Booker Prize nel 2015, è ambientato in una piccola cittadina di villeggiatura del Connecticut, molto simile a quella dove Clegg è nato e cresciuto: Shannon, nella contea di Litchfield.
Le recensioni, molto positive, del romanzo sono caratterizzate tutte da un elemento di sorpresa: come se un agente letterario - che peraltro ha già dimostrato di essere abile narratore - non potesse essere anche un bravo romanziere: perché?
«Vedere qualcuno in un ruolo diverso dal solito può creare disagio. Vale ancora di più nell' industria editoriale, dove permane l' idea dello scrittore che dedica la sua vita alla letteratura mentre gli agenti vengono percepiti come "arraffasoldi" interessati solo a spremere i clienti. Come è possibile che qualcuno che lavora con il denaro possa fare letteratura? Tuttavia provo commiserazione per questo genere di pensieri».
È stato più difficile scrivere un memoir su una fase molto complicata della sua vita oppure un' opera di fiction?
«Il romanzo è stata sicuramente un' esperienza più gioiosa. Ogni volta che mi sedevo alla scrivania era come ritrovarmi in un luogo nuovo, tutto da esplorare. In un memoir conosci la storia fin dall' inizio: il libro è stato l' ultimo anello della storia della mia vita fino a quel momento. Non dovevo inventare nulla ma solo scegliere cosa raccontare».
C' è qualcosa che ha imparato sugli scrittori dopo aver consegnato il suo primo romanzo?
«Lavorando con alcuni dei migliori romanzieri in circolazione, sapevo che c' è sempre un mix di paura, audacia e shock ad accompagnare la pubblicazione della propria opera. Quello che non mi aspettavo è quanto un romanzo renda vulnerabili. Prima di scrivere Mai avuto una famiglia credevo che la fiction proteggesse gli scrittori. È il contrario: ogni parola e dettaglio vengono sottoposti a giudizio. Con Ritratto di un tossico da giovane era comprensibile che qualcuno provasse fastidio o ribrezzo per il racconto, ma che questo potesse succedere con il mio romanzo mi terrorizzava».
Quella era la sua vita. Se ha scelto di raccontarla significa che forse era arrivato a quel livello di accettazione in cui i giudizi altrui hanno un peso minore.
«Esattamente. Invece i personaggi del romanzo sono rimasti con me per sette anni: li ho custoditi al riparo dal mondo esterno. Quando è arrivato il momento di darli in pasto al pubblico mi sono scoperto molto fragile».
Sette anni sono tanti.
«Ne avevo 21 quando i miei hanno divorziato e venduto la casa nel Connecticut. Io mi sono trasferito a New York con l' obiettivo di lasciarmi alle spalle tutto.
Anche l' alcol e le droghe credo servissero a farmi dimenticare da dove venivo.
Quando sono tornato sobrio qualcosa è cambiato: ho cominciato a guardare nel mio passato con occhi adulti. Lentamente quelle ambientazioni si sono trasformate in un romanzo, che è rimasto a lungo un progetto laterale».
Cosa ha trovato nel suo passato?
«Una cittadina bellissima e interessante, che mette insieme persone della working class e ricchissimi. Parliamo di un luogo con poche migliaia di abitanti.
Una metà ci vive solo per poche settimane, durante l' estate; l' altra vive al loro servizio o affittando case che le loro famiglie affittano da 300 anni. Immagini quanta tensione, risentimento ma anche ambizione può creare questa collisione di classe. Da bambino i new yorkers avevano catturato la mia immaginazione: sognavo di scappare con uno di loro» «Mai avuto una famiglia» è un romanzo che mette insieme diversi punti di vista sulla stessa terribile vicenda.
Perché ha scelto questa formula?
«Ho immaginato la storia di una donna e le conseguenze sulla comunità: come il gossip, in certi ambienti, diventi verità e i rumors finiscano con il creare un' altra storia. Le piccole comunità proteggono i loro membri ma possono anche distruggerli... Anche il mondo editoriale è così. Io sono stato a lungo argomento di pettegolezzi: quando sono tornato dalla disintossicazione le persone mi facevano le domande più strane.
Qualcuno credeva fossi stato in galera...
È stato allora che ho capito cosa volevo fare: esplorare l'idea di come gli individui inventino storie per le domande di cui non conoscono la risposta».
Internet ha portato questa attitudine su scala globale.
«È come il telefono per gli abitanti della mia cittadina, che parlano delle persone che non conoscono. Vedono solo la versione basata sulle loro emozioni e quella diventa la storia ufficiale. È chiaramente il frutto del desiderio molto umano di comprendere quello che ci sfugge, e di giudicare».
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