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Giancarlo Dotto per Dagospia
Il testamento più nichilista di ogni tempo: “Crematemi e buttatemi nel cesso” (Massimo Carminati, criminale con una vena d’artista). Secondo solo a: “Delle mie ceneri fate una bella crostata e mangiatela a colazione” (Carmelo Bene, artista con una vena di criminale).
Come spesso accade, l’idea esatta di quello che sarai da morto determina quello che sei da vivo. Il kamikaze si fa saltare in aria perché sa che il paradiso, lassù, è “pieno di fica”. Questo spiega il suo, altrimenti incomprensibile, entusiasmo. Gli estremi coincidono, la totale assenza di al di là o il suo eccesso di rappresentazione: la riduzione dell’esistenza a un esplosivo zero. Chi teme, al contrario, di reincarnarsi in uno straccione o una biscia si condanna alla probità e fa del mondo un posto migliore.
Premessa necessaria per spiegare perché una notevole intelligenza come Giorgio Dell’Arti confessi, nella sua finestra su “La Gazzetta dello Sport”, la sua “scandalosa” ammirazione per Massimo Carminati (“personaggio di grande interesse… superiore a tutti gli altri”) e il suo Mondo di Mezzo (“Una metafora fulminante”).
Il tema è sempre quello, la seduzione del Male. Virus che colpisce soprattutto femmine, artisti e intellettuali. Frank Sinatra giocava da gangster e cantava da Dio, Fred Buscaglione teneva sotto l’ascella la sua Walter calibro 9 e non sapeva più distinguere sé dal personaggio di scena.
MASSIMO CARMINATI NEGLI ANNI OTTANTA
Renato Vallanzasca e Felice Maniero, il malavitoso del Brenta, passavano il tempo in carcere a leggere e qualche volta a rispondere alle migliaia di lettere d’amore. Michele Placido confeziona una banda della Magliana che è una fascinosissima galleria di bei tenebrosi.
Tutti i magnifici serial televisivi di oggi (“House of the cards”, “Boardwalk Empire”, gli stessi “Homeland” e “The Leftovers”, per non parlare di “Gomorra”) rompono il tabù del lieto fine e raccontano voluttuosamente la dominanza del Male.
Dunque? Cos’è che spinge il raffinato borghese a genuflettere, oggi più che mai, il suo fragile scheletro e il suo debole pensiero al cospetto delle grandi icone delinquenziali? Il sentore della sua decadenza. La pulsazione della sua mediocrità. La certezza di non aver trovato una sola chiave per dichiarare a se stesso accettabile l’esistenza. Di là? Il carisma assoluto di chi dispone solo di uno zero e se lo gioca ogni giorno dove la posta è alta (il “non avere niente da perdere”). Trasformandolo nella sua forza.
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