CAROFIGLIO TI SCRIVO - LO SCRITTORE-QUERELATORE CHIEDE ALL’EDITOR OSTUNI UNA LETTERA DI SCUSE PER RITIRARE LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO DANNI (50 MILA EURO PER AVER SCRITTO “SCRIBACCHINO” SU FACEBOOK) - “AMMETTA DI AVER SBAGLIATO A TRASCENDERE SUL PIANO PERSONALE E LA STORIA SI CHIUDE” - UN’ESAGERAZIONE? MACCHE’: “È IN BALLO LA QUALITÀ DEL DIBATTITO CIVILE” (ME’ COJONI)…

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Raffaella De Santis per "la Repubblica"

Il giorno prima una lunga lista di scrittori, intellettuali e gente comune ha firmato un documento denunciando l'"intento intimidatorio" della richiesta di risarcimento danni (siamo ora a circa 200 firme, tra le ultime adesioni ci sono Tariq Alì e Chomsky). In ballo, in questo caso iniziato dopo la finale dello Strega, non ci sono solo 50 mila euro, ma il sottile discrimine tra libertà di critica e offesa personale.

Iniziamo dal principio. Che cosa l'ha offesa? Perché non accetta le critiche?
«Una premessa di metodo. Una cosa sono i giudizi motivati sulle opere e un'altra le offese personali. I primi sono sempre ammissibili, ci mancherebbe. Le seconde mai. Si può dire "il tuo libro fa schifo", anche se non è elegante. Non si può dire: "tu mi fai schifo"».

La parola "scribacchino" però allude al suo mestiere di scrittore.
«Sul Devoto-Oli è indicata come spregiativo. Cioè come espressione di disprezzo. Le parole sono oggetti pericolosi, possono fare danni e vanno maneggiate con cura. Per me si tratta di questione più vasta di questa vicenda. È in ballo la qualità del dibattito civile».

D'accordo, ma la questione non rischia di apparire più grande di quanto sia? In fin dei conti c'è solo un giudizio un po' intemperante espresso a caldo su una pagina Facebook..
«(Sorride). Non credo sia così. Se accettiamo l'idea che l'offesa entri nel dibattito, ci mettiamo su una china pericolosa. La parola "critica" viene dal greco "krino" che vuol dire distinguere, argomentare, cioè il contrario di scagliare - metaforicamente - oggetti contundenti contro l'avversario ».

Lo scontro appare impari. Lei è un uomo potente, un senatore, un magistrato, ammetterà che è in una posizione di forza.
«Questo è un argomento piuttosto scivoloso. L'idea è che un magistrato non può rivolgersi al giudice se ritiene che un suo diritto è stato violato? Lasciamo perdere per un attimo la diffamazione. Immaginiamo che un magistrato chieda un risarcimento danni per un incidente stradale o l'esecuzione di un contratto. Secondo la premessa implicita della domanda (la presunta posizione di forza) questo ipotetico magistrato non dovrebbe potersi rivolgere al giudice. Non crede sia un'idea bizzarra? ».

Non le sembra di avere esagerato?
«Precisiamo qualche elemento di fatto che è stato quantomeno frainteso. Non c'è nessuna querela e nemmeno un atto di citazione. C'è solo un invito a comparire davanti a un mediatore. Se le parti si mettono d'accordo la causa neanche nasce».

Eppure nella storia sono tanti gli scrittori che hanno criticato anche duramente i loro colleghi, ma è la prima volta che si arriva in tribunale.
«Semplicemente: non è vero. La giurisprudenza è piena di processi fatti a partire da una critica a un'opera artistica, sia essa letteraria, musicale, cinematografica. Ultimamente è successo a un musicista molto noto che ha citato in giudizio un giornalista per critiche al suo lavoro (mi mostra sul suo tavolo un plico di cause intentate per questi motivi).

Un importante intellettuale, nonché stretto congiunto di uno dei promotori della protesta contro di me, qualche anno fa ha intentato una causa lamentandosi per affermazioni contenute in un libro di una nota saggista, e chiedendo un risarcimento di un milione di euro. Non mi risulta che in quel caso siano state organizzate manifestazioni».

In passato gli scrittori si sfidavano a duello. È rimasto celebre quello tra Ungaretti e Bontempelli. C'è anche una libertà nel litigare, non trova?
«Onestamente no. I duelli, le risse, non mi piacciono e sono vietati dalla legge. Quanto ai precedenti mi permetta un paragone calcistico. Maradona fece un goal con la mano, ma non vuol dire che tutti possono iniziare a segnare di mano. Il fatto che lo abbia fatto un personaggio famoso non rende lecita una violazione delle regole. Se gli
scrittori del passato si sono presi a botte o a sciabolate, hanno sbagliato. Imitarli non ci rende scrittori o persone migliori».

E la libertà d'espressione?
«Insisto: bisogna evitare di confondere libertà di espressione e libertà di insulto».

Non poteva rispondere in altro modo all'offesa?
«Non amo le risse. In un paese civile i diritti lesi si tutelano davanti ai giudici in base a regole precostituite. Senza le regole e senza rispetto reciproco tutto si riduce a rapporti di forza».

Non ha paura di nascondersi dietro un formalismo giuridico?
«Direi che è proprio il contrario. Vorrei evitare che mascherando un'offesa da critica si contribuisca a una pericolosa torsione della lingua e in definitiva all'inquinamento del dibattito pubblico. Victor Klemperer scriveva nel suo Taccuino: "Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l'effetto tossico"».

Nessun dubbio, dunque. Si aspettava tanto clamore?
«Dubbi sempre, ma certo non mi aspettavo tutto questo ».

Lo rifarebbe?
«L'ho fatto perché sono contrario alla violenza delle parole. Non ho cambiato idea. ».

Chiedere 50 mila euro non le pare eccessivo?
«Vorrei tranquillizzare tutti. Non voglio i soldi di nessuno e invece faccio una proposta: ho sentito parlare di una colletta per le spese legali. Suggerisco di non spendere soldi in spese legali. I partecipanti versino i loro contributi a Save the children, anch'io verso un mio contributo e questa vicenda è finita prima di cominciare».

Se Ostuni si scusasse per i toni in cui ha espresso le sue opinioni, non le basterebbe per chiudere così la questione?
«Certo. Dica pure dove e quando vuole che i miei libri non gli piacciono, ma ammetta di aver sbagliato a trascendere sul piano personale. Sarebbe la soluzione naturale di questa storia ».

 

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