1. DOPO I CINEPANETTONI CON LA CACCA, ARRIVA UN FILM CON L’OSCAR: “AMERICAN HUSTLE” 2. UN CAST DI GRANDI ATTORI: CHRISTIAN BALE CON LA PANZA, AMY ADAMS CON SCOLLATURA DA PAURA, BRADLEY COOPER COI BIGODINI, ROBERT DE NIRO CHE NON FA LE SOLITE FACCETTE, E UN’INCREDIBILE JENNIFER LAWRENCE, BELLA, SCEMA E PERICOLOSA 3. È IL TRIONFO DEGLI ANNI ’70: LA MUSICA, IL CATTIVO GUSTO, I CAPELLI, GLI ABITI, LE TRUFFE, LA CORRUZIONE, LA MAFIA, PERFINO GLI ORRIBILI RIPORTI. IL REGISTA DAVID O. RUSSELL TESSE UNA TRAMA COMPLESSA, MA MAI PREVEDIBILE E DI GRAN DIVERTIMENTO 4. INTERVISTA AL REGISTA DAVID O. RUSSELL: “IL PESSIMISMO? E’ UN LUSSO INUTILE”

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1. DOPO L'INFORNATA DI CINEPANETTONI, UN BUON FILM: "AMERICAN HUSTLE"
Marco Giusti per Dagospia

American Hustle di David O. Russell.

Dopo l'infornata dei cinepanettoni arriva un buon film. Già pronto e cucinato per la serata degli Oscar. Per gli americani, si sa, gli anni 70 sono il massimo della vita e, soprattutto in questi anni, ci ritornano sempre. Hanno un amore per la musica, il cattivo gusto, i capelli, gli abiti, perfino i riporti schifosi e le camicie sbottonate con i colletti giganteschi di quel periodo.

E se citano il Duke Ellington di "Jeep's Blues", lo citano perché è morto proprio nel 1978, un anno particolare sia per loro che per noi, perché fa da cerniera con gli anni 80 e l'esplosione di follia collettiva, sotto ogni senso, che comportò.

Anche se è un grande e complesso film di truffatori e truffati, esaltazione di con-artist e di escapist che gira attorno a un celebre caso del tempo chiamato operazione Abscam, questo "American Hustle - L'apparenza inganna" di David O. Russell, è anche e soprattutto un tuffo affettuoso e pieno di rispetto negli anni 70, nel suo cinema e nella sua musica, che permette a ognuno dei grandi attori presenti, da Christian Bale a Amy Adams, da Jeremy Renner a Bradley Cooper, da Robert De Niro a una incredibile Jennifer Lawrence, anche delle personalissime caratterizzazioni degli americani di allori o, di come sembravano visti attraverso i film del tempo e i loro protagonisti, da Al Pacino a Allan Garfield.

Non so quanto e cosa abbia modificato Russell del copione originale di Eric Singer, considerato uno dei migliori progetti non realizzati del 2010. Di certo lo ha riportato in pieno nel suo tipo di commedia. "American Hustle" è infatti strutturato esattamente come "Il lato positivo", il suo ultimo e fortunato film che ha fruttato un Oscar a Jennifer Lawrence e ben otto nomination, tra le quali Bradley Cooper e Robert De Niro. Rusell non solo ne riprende gran parte del cast, e la musica di Danny Elfman, ma ne riprende soprattutto la messa in scena e la costruzione narrativa molto originale.

Cioè una serie di colpi di scena che seguono o anticipano l'entrata di un nuovo personaggio che funzionano non come naturale sviluppo della storia, ma come diagonale che ne aumenterà inaspettatamente la potenza e ne cambierà il senso. Scrittura particolarmente adatta a una storia di imbroglioni e maestri della fuga. Aggiungiamo a questo il racconto in prima persona non di un solo protagonista, ma di vari di loro, in modo che abbiamo quasi un commento continuo da varie angolazioni di quel che stiamo seguendo.

Tutto questo, alla fine, funziona un po' meno bene che in "Il lato positivo", forse perché c'è troppa carne al fuoco, troppe trame e sottotrame da seguire, ma le linee narrative e le idee di messa in scena sono sempre esplosive, il cast pauroso è ben dosato e ogni singola performance viene esaltata da questa costruzione e il film, insomma, riesce sempre a stupirti e a portarti dove non pensavi. Cose che, in anni di continui remake o film fotocopia di classici spesso di una prevedibilità disarmante, porta il cinema di David O. Russell a un livello davvero alto, come ci aspettavamo del resto dai tempi del suo "The Three Kings".

Siamo, come abbiamo detto, nel 1978, a Camden, in una cittadina del New Jersey, vicina alla Atlantic City di "Boardwalk Empire", dove regna un sindaco italo-americano, Carmine Polito, un Jeremy Renner con capelli a banana, simpatico ma un po' troppo vicino alla mafia e dove nessuno è davvero quello che sembra. Non lo è il genio della truffa Irving Rosenfeld, un Christian Bale ingrassato di trenta chili, che vediamo nella prima scena accroccarsi in testa un improbabile riporto e che non si separa mai da un paio di occhialoni proprio come l'Allan Garfield di "Cry Uncle" e "The Brink's Job".

Irving non è solo il proprietario di una catena di lavanderie, ma vive di piccole truffe a gente disperata, commercia in falsi e croste, ha una moglie, Rosalyn, cioè Jennifer Lawrence, insopportabile, annoiata, la sentiamo cantare in cucina "Live and Let Die", infedele ma molto sexy, dalla quale non sa staccarsi, e un figlioletto che adora. Fin dalle prime scene Irving è pure innamorato di Sydney Prosser, una meravigliosa Amy Adams, una ragazza che ha le sue stesse capacità da con artist, ma ha qualche problema di identità, si vende come inglese purissima, Lady Edith, essendo incapace di vivere la sua vita normale nel New Jersey.

Ovvio per lei fare coppia con Christian Bale dimostrando un incredibile talento nell'imbrogliare il prossimo oltre che se stessa. Come quasi tutti nel film. A cominciare dall'uomo di legge, il poliziotto dell'FBI Richie Di Maso, un Bradley Cooper coi ricci, ad esempio, che vive con la mamma tristissima e una fidanzata brutta, ma sogna di essere Al Pacino e di poter fare il colpo della sua vita incastrando gente importante negli anni del Watergate. Sarà proprio Richie a incastrare la coppia di truffatori, ma invece di metterli in prigione, si servirà di loro per arrivare più in alto.

Nella loro rete non cadranno però solo i pesci piccoli, ma lo stesso sindaco della città, Carmine, una serie di membri del Congresso e qualche grosso mafioso. Troppo grosso per tutti. Il gioco, insomma, si fa duro e, come in tutti i film di truffe, i colpi di scena saranno piuttosto clamorosi, perché Russell e i suoi attori sembrano divertirsi particolarmente in questo gioco di finte identità e di cambiamenti di rotta. Gli attori sono tutti bravissimi, anche se le regazze sono davvero favolose e Jennifer Lawrence ruba la scena a tutti come pupa di Irving, scema e pericolosa, pronta a gettarsi nelle braccia di un bel mafioso, che è poi il Jack Huston con mezza faccia di "Boardwalk Empire".

Robert De Niro come il vecchio boss Victor Tellejo illumina la scena dell'incontro con la mafia con qualcosa in più del suo solito repertorio di giochi di occhi e sopracciglia. Ma in ruoli minori troviamo perfino veterani come Anthony Zerbe e Colleen Camp. Ovvio che sarà un film da corsa all'Oscar sia per gli attori che per gli autori, ma è anche un gran divertimento per tutti con una colonna sonora fantastica. In sala dal 1 gennaio.


2. IL PESSIMISMO? UN LUSSO INUTILE - INTERVISTA A DAVID O. RUSSELL, REGISTA DI "AMERICAN HUSTLE"
Federica Lamberti Zanardi per "il Venerdì di Repubblica"

"Quando la vita mi ha messo in ginocchio ho capito che dovevo cambiare il modo di fare film: dovevo partire dal cuore non dal cervello e parlare di emozioni, sentimenti, passioni». David O. Russell è una di quelle persone che ha un prima e un dopo: non è stato un enfant prodige, ha girato il primo film, Spanking the Monkey, a 36 anni. E per molto tempo nessuno ha pensato fosse un talento. Poi, nel 2010, con The Fighter qualcosa è cambiato. E oggi, a 55 anni e dopo il successo di Il lato positivo, è diventato un regista di culto: originale, intelligente, capace di far vincere Oscar e Golden Globe ai suoi attori.

Lo dimostra anche il modo in cui lo accolgono gli studenti della Sapienza di Roma dove il regista americano ha appena tenuto una master class: gli applausi sono quelli che si fanno a una star. E lui, che nei modi ricorda un po' Woody Allen, si emoziona, saluta in italiano e racconta cosa ha determinato la sua svolta:

«C'è stato un periodo molto duro della mia vita. Dopo 15 anni di matrimonio ho divorziato, sono finito al verde, a mio figlio è stato diagnosticato un disturbo bipolare. Non ho lavorato per sei anni. Non sapevo più che tipo di autore volevo essere. Poi ho capito che dovevo raccontare caduta e rinascita. E da queste riflessioni sono nati The Fighter, Il lato positivo e American Hustle. Una trilogia a cui ero predestinato».

American Hustle (dal 1° gennaio nei nostri cinema) è già candidato a sette Golden Globe e probabilmente porterà a casa qualche Oscar. Il cast, come sempre accade nei film di O. Russell, è strepitoso: Christian Bale in stato di grazia, Jennifer Lawrence si conferma la migliore attrice della sua generazione, Bradley Cooper rivela a pieno la sua indole ironica e Amy Adams sorprenderà tutti.

La storia è ispirata allo scandalo Abscam, un'operazione dell'Fbi che negli anni 70 portò all'arresto di politici corrotti, grazie a due agenti che assoldarono il truffatore Anthony Amoroso per incastrare i colpevoli. La ricostruzione di quell'epoca è meticolosa, e la caretterizzazione di ogni personaggio perfetta e toccante. Un film bellissimo, che parla d'amore, amicizia e delle maschere che ognuno è costretto a indossare per essere accettato. Ha detto che American Hustle chiude una trilogia alla quale era «predestinato».

Crede nel destino?

«D'istinto direi no. Ma poi, se guardo alla mia vita, ho la sensazione che forse sì, un destino c'è: tutto quello che mi è successo ha avuto lo scopo di farmi diventare un regista diverso. Perché certe cose accadono in un dato momento? Potremmo dire che seguono le ragioni di Dio o di un'entità superiore. Sicuramente non quelle degli uomini. Ma c'è sempre qualcosa di buono in ciò che accade».

Quindi, nonostante tutto, lei è ottimista?

«Mio figlio mi ha insegnato che essere pessimisti è un lusso che non ci possiamo permettere. Per lui significherebbe letteralmente la morte: ha 19 anni e spesso chi soffre della sua malattia non ce la fa. Jack Nicholson una volta mi ha detto: "È sempre meglio rivolgere il proprio sguardo verso l'alto, puntare verso ciò che di migliore esiste nell'uomo". Io faccio così, è una necessità non una scelta».

Parla come un buddista.

«Ho studiato buddismo per vent'anni. Ho anche girato un film, I Heart Huckabees, ispirato al mio professore di buddismo alla Columbia University, Robert Thurman, il padre di Uma. Mia madre era italiana e cattolica, mio padre un ebreo russo. Il senso religioso, la consapevolezza che esista un mistero, mi arriva da loro. A volte mi capita di entrare in una chiesa, ma per nutrire il mio spirito mi basta anche stare in mezzo natura. Vivo sul le montagne di Santa Monica, da lì il mio sguardo arriva fino all'Oceano. È un posto magnifico, con una grande energia».

È li che scrive i suoi film?

«Scrivo ovunque. Mai da solo. Ho passato anni a lavorare in solitudine e non ne posso più. Spesso vado anche a casa degli attori...».

A casa degli attori? A lavorare?

«Beh, diciamo che vado a convincerli che la parte che gli propongo è strepitosa. Scrivo per loro dei personaggi che li spingano a rischiare. Personaggi che prendono il cuore e che te lo possono anche spezzare».

Christian Bale, Melissa Leo e Jennifer Lawrence hanno vinto l'Oscar. Come fa a ottenere interpretazioni così intense?

«Gli racconto la mia vita, quello che ho passato. A me piace prendere delle star e metterle in ruoli opposti e contrari a quelli a cui siamo abituati a vederle. Così il pubblico rimane sorpreso, entra nella realtà emotiva del personaggio e si lascia andare. Come regista mi interessano le persone e i loro sentimenti, i dettagli che costruiscono e disegnano il loro carattere. Le storie sono la cornice».

Ha una fonte di ispirazione privilegiata?

«La mia famiglia. Spesso nei miei film ci sono degli italoamericani, perché li conosco bene: i miei nonni materni venivano dalla Calabria. Ho passato la vita a osservare i miei parenti, sono una miniera d'ispirazione. Soprattutto le donne, spesso più intelligenti e forti degli uomini. Mi piace mostrarne tutte le loro sfaccettature: sensualità, debolezza, pericolosità, capacità manipolatrice. In The Fighter le sorelle dei pugili sono i personaggi più interessanti. E l'ho capito sul set».

È vero che improvvisa quando gira?

«No, è tutto già scritto nella sceneggiatura. Però poi voglio che le cose siano, come dire, accidentalmente reali. Uso solo luci naturali e resto sempre in scena, vicino agli attori, dando indicazioni di regia mentre la macchina continua a girare. Così si dimenticano che stanno recitando e si sentono più veri, in un'atmosfera vagamente onirica. Robert De Niro mi ha detto che quando lavora con me raggiunge un livello di immedesimazione inusuale».

Fin troppo facile puntare su De Niro, ma gli altri attori come li sceglie?

«Per empatia. Quando ho fatto il provino alla Lawrence per Il lato positivo c'erano tre attrici più famose di lei che volevano la parte. Ma appena l'ho vista ho capito quanto fosse speciale. Poi mi hanno detto che Amy Adams non sarebbe stata in grado di interpretare il ruolo di Sydney in American Hustle, ma io avevo letto nei suoi occhi il fuoco di chi vuole essere migliore, ed è una forza che mi conquista. Nel mio periodo buio ho imparato che non devi mai credere di essere arrivato, ma devi sempre lavorare, lavorare, lavorare. Con umiltà, infinita onestà e passione, continuando a sentire i morsi della fame. Sì, lo Stay Hungry, Stay Foolish di Steve Jobs».

 

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