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Marco Giusti per Dagospia
Restless - L'amore che resta di Gus Van Sant.
Stroncato praticamente da tutti, sia alla sua apparizione a Cannes, dove apriva "Un Certain Regard", sia alla sua uscita americana, il 16 settembre, arriva nelle nostre sale Restless, ultima fatica di Gus Van Sant, mal tradotto come L'amore che resta (dove, sul groppone del distributore?). I critici americani si sono sbizzarriti negli insulti.
"Drammaticamente inerte", "Insipido come i melodrammi popolari di Nicholas Sparks", "Il regista è più preoccupato del guardaroba degli attori che dei dialoghi", "Il tipo di disastro gargantuesco che solo un grande regista può fare". Pochissime le voci a favore (tra questi Roger Ebert, Peter Tavis e, inesplicabilmente, Curzio Maltese). Insomma un film che potrebbe apparire e sparire dopo due giorni che va assolutamente visto e riabilitato. Sia perché i grandi disastri autoriali sono merce preziosa di questi tempi, sia perché il film ha non pochi aspetti interessanti.
Nato come film su commissione, prodotto, interpretato e fortemente voluto da Bruce Dallas Howard, la figlia di Ron Howard già vista in "The Village" e "Lady in the Water" di Shyamalan e in "Mandarlay" di Lars Von Trier, scritto da un giovane attore cino-americano, Jason Lew, è una dark comedy del tutto stravagante sull'amore tra una malata terminale di cancro al cervello, la Mia Wasikovska di "Alice" e "Jane Eyre", e un orfanello innamorato dall'idea della morte, Henry Hopper, giovane figlio del defunto Dennis Hopper.
Lui, Enoch Brae, che frequenta tutti i funerali, anche di gente che non conosce, in quel di Portland, proprio in uno di questi simpatici frangenti, conosce Annabel Cotton, fragile bellissima ventenne in odore di morte. Il film segue quest'amore diviso tra il voyerismo di lui, che ha frequenti assurdi dialoghi col fantasma di un kamikaze giapponese della Seconda Guerra Mondiale, Ryo Kase (visto in "Lettere da Iwo Jima") e la giusta reticenza di lei, ragazzina impaurita di fronte all'arrivo di un amore così bislacco e della propria morte.
Ovvio che il film, con una storia così strampalata, che mescola continuamente commedia giovanile e mélo mortifero, non possa che essere un totale disastro, ma i due ragazzi, vestiti fin troppo bene, sono fantastici e Gus Van Sant e il suo direttore della fotografia, Harris Savides, fanno un gran lavoro visivo su Portland e sull'immagine di queste figurine belle, fragili, spaventate che affrontano un mondo in cui la morte o l'amore sembrano le uniche certezze.
Rispetto all'inutile grandeur da National Geographic (copyright Jerzy Skolimowski) di "Tree of Life" di Malick, questo "Restless" appare come una condivisibile, anche se rischiosa risposta teorica. Il film sarà sbagliato, ma è molto, molto più elegante di quello di Malick.
RESTLESS di Gus Van Sant MARCO GIUSTI - Copyright PizziVanSantRESTLESS di Gus Van Sant RESTLESS di Gus Van Sant
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